mercoledì 25 ottobre 2017

CREAZIONE, EVOLUZIONE, PERSONA



CREAZIONE, EVOLUZIONE, PERSONA
di Franco Biagioni
Premessa
Il tema dell’evoluzionismo sembra tornato d’attualità: in Italia a risvegliare il dibattito è stata
la discussione sui nuovi programmi d’insegnamento della scuola media riformata, a volte,
con la semplificazione propria della propaganda politica, presentata come: Darwin sì o
Darwin no; ma già negli anni ’80 in alcuni ambienti si mettevano in discussione alcuni
dogmi della teoria dell’evoluzione. In America movimenti religiosi tradizionalisti o
fondamentalisti rifiutano la teoria evoluzionista, che pure è accettata senza discussione
dalla scienza ufficiale. Il ricorrente parlarne, sia da parte dei detrattori, ma soprattutto da
parte dei sostenitori, potrebbe far pensare che anche le certezze di questi ultimi non siano
poi così solide. Per inquadrare il problema, è necessario chiarire alcuni concetti e rifare il
punto su alcune questioni di cui la soluzione non si può dare per scontata: ma è
necessario tener distinte le conoscenze scientifiche dalle teorie che vi vengono costruire
sopra, e soprattutto riportare il tema dell’evoluzione nell’ambito della filosofia della natura
e, prima di poter accampare qualsiasi soluzione, risolvere il nodo del rapporto fra scienza
e sapienza. Questi appunti potranno forse costituire un contributo, una specie di
intelaiatura su cui costruire un discorso compiuto.
1. CREAZIONE.
Il tema della creazione appartiene alla metafisica e alla teologia, e non alle scienze della
natura e nemmeno alla filosofia della natura, in cui vige il principio aristotelico secondo cui
ex nihilo nihil fit: In questa materia non conviene cercare improbabili concordismi, come
quelli secondo cui la teoria fisica del big-bang potrebbe alludere alla creazione, ma è bene
lasciar distinto il campo della scienza da quello della riflessione filosofica e teologica che
fa propri i dati della scienza.
1.1. Creatio ex nihilo: La creazione non è la trasformazione di qualcosa di
esistente, ma “la totale e assoluta posizione di ogni cosa nell’essere”: creazione
dal nulla: il concetto di nulla: la celebre domanda di Leibniz: pourquoi y -a t-il plutot
quelque chose que rien, car le rien est plus simple et plus facile que quelque
chose?: la difficoltà di concepire il nulla: il nulla può essere concepito senza
contraddizione, ma non può essere affermato, senza cadere in contraddizione; è
quindi solo un oggetto di pensiero che si ricava in opposizione all'essere: “in realtà,
se l’oggetto di pensiero le rien non è originario, bensì formato attraverso la
negazionde del quelque chose, esso necessariamente sarà meno semplice di
quello che viene negato” (Possenti, pag 96). Dalla difficoltà di concepire il nulla
discende la difficoltà di concepire la creazione dal nulla: nel loro fondo le
concezioni antiche sono tutte panteistiche, danno quasi per scontata l’eternità della
materia. In tutta la filosofia antica è presente una concezione dell’universo come
organismo, per cui si va dalla concezione atomista-democritea in cui l’universo si
autocostruisce attraverso leggi assolutamente deterministiche, alla
personificazione e divinizzazione delle singole espressioni della natura (animismo),
alla sacralizzazione dell’universo, inteso come organismo in perpetuo divenire; gli
antichi non avvertivano la contraddizione del perpetuo divenire, come la
avvertiamo noi, alla luce delle nostre conoscenze scientifiche: se l’universo fosse
eterno, esso sarebbe da un’eternità un cimitero di stelle morte (Claude
Tresmontand). Se si ammette la finitezza dell’universo, esso deve avere avuto un
inizio, e qualcuno che gli ha dato inizio. L’essere contingente postula l’essere
assoluto: può trovare la propria causa nell’esse ipsum per se subsistens, che
trascende infinitamente il mondo. Il Simbolo Niceno-Costantinopolitano definisce
Dio: Factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium, mentre il Figlio è
genitum, non factum, … per quem omnia facta sunt: Facere è il verbo della
creazione, che rende l’ebraico bara’. Inoltre, va tenuta ben presente
un’osservazione di Tommaso d’Aquino: la creazione non è creazione “nel nulla”: In
creatione non ens non se habet ut recipiens divinam actionem, sed id quod
creatum est. (S.Th. I,44,2); il non essere, non si pone come “recipiente” l’essere ed
in qualche modo anteriore all’essere stesso: l’unico recipiente l’essere è l’ente; e il
non essere si può pensare solo in opposizione all’ente.
1.2. Creatio non est mutatio: ma è la dipendenza causale sul piano ontologico
dell’essere creato rispetto al suo principio, all’ esse ipsum per se subsistens: San
Tommaso afferma che la creazione appartiene alla categoria della relazione: il
creato è altro dal creatore e si pone in relazione con Lui.
1.3. creatio ex nihilo sui > con questa formula si vuol affermare che il creatore
non perde nulla della propria infinita perfezione nel creare; nella creazione si hanno
plus entia, ma non plus esse. Inoltre si vuole distinguere la creazione dall’
emanazione: in senso contrario stanno le teorie dell’emanazione del mondo
dall’Uno, come la filosofia neoplatonica di Plotino; ma in generale tutte le
concezioni panteistiche della natura, dall’animismo primitivo, agli Stoici, ai
razionalisti dell’età moderna, che non ammettono qualcosa di altro dal mondo.
1.4. creatio ex nihilo subiecti > con questa formula si vuol distinguere la
creazione dall’opera del Demiurgo, inteso come nella filosofia di Platone, ma anche
come in tante cosmogonie primitive. Gli antichi non sapevano concepire il nulla che
come caos, come materia informe: di qui il creatore inteso come ordinatore del
caos, architetto del cosmo che dà forma ad una materia già esistente.
2. EVOLUZIONE
2.1. Se la creazione è l’atto per cui si fa dal nulla tutto l’esistente, il regno della
natura, delle cose create è il regno della mutatio, cioè del cambiamento, del
movimento, del divenire. In esso opera la filosofia naturale e la scienza; in esso
vale l’assunto aristotelico ex nihilo nihil fit. Nel mondo della natura si distinguono gli
esseri dotati di vita: il regno dei viventi naturali è il regno delle cose che hanno in
se stesse il principio del movimento: Natura est ratio artis divinae indita rebus, qua
moventur ad suos fines (Pietro di Bergamo). Natura autem est principium motus et
quietis in eo in quo est (Tommaso). Actio immanens est tantum viventium. Ma
come si è arrivati alla complessità del mondo naturale, cosi come appare ai nostri
occhi? Il mondo è sempre stato così, o c’è stato un processo dal più semplice al
più complesso? Quando è nato l’universo? Quando i primi esseri viventi, quando
gli animali come li vediamo oggi, quando l’uomo? Superata, alla luce delle scoperte
scientifiche, l’idea di un universo eterno, si ritiene oggi che l’età dell’universo possa
essere nell’ordine di dieci-venti miliardi di anni (se ha senso parlare di anni quando
ancora la terra non girava intorno al sole); che la terra abbia circa quattro miliardi di
anni; che la vita sia apparsa sulla terra tre miliardi di anni fa, in forme
estremamente elementari; che i primi animali organizzati siano apparsi alcune
centinaia di milioni di anni fa. Come? Non si sa: abbiamo solo ipotesi su quello che
potrebbe essere successo: oggi è molto accreditata la teoria del Big Bang (modello
standard), che descrive la nascita dell’universo come l’esplosione da un nucleo
densissimo; da questo si sarebbero originati gli elementi, poi condensati in stelle e
galassie in continua fuga (Universo in espansione): è la teoria oggi dominante. Per
rispondere a queste domande sappiamo ancora troppo poco dell’universo, sia a
livello macroscopico, delle stelle e delle galassie, sia a livello delle particelle che
compongono la materia a livello sub-atomico. Un altro mistero è la comparsa della
vita: secondo la teoria dell’abiogenesi la vita si sarebbe sviluppata
spontaneamente, dalla materia inorganica, in presenza di condizioni favorevoli:
esperimenti di laboratorio hanno cercato, ma non in modo del tutto convincente, di
dimostrare come si siano potuti formare proteine e acidi nucleici da un “brodo
primordiale” di elementi che si presume fossero presenti sulla terra; invece,
secondo la teoria della panspermia la vita sarebbe arrivata sulla terra dal cosmo,
forse portata da una cometa: rimane comunque insoluto il problema di come la vita
si sarebbe formata prima di arrivare sulla terra. Resta comunque il fatto
dell’evoluzione: che, nella descrizione che ne dà la scienza moderna, riferita in
particolare all’evoluzione dei viventi, ha questi tratti salienti: i viventi hanno uno o
più progenitori comuni particolarmente semplici; nella discendenza da questi
progenitori si è avuta la diversificazione dei viventi; la diversificazione ha portato
con sé aumento di complessità e di organizzazione (Cirotto).
3. INTERPRETAZIONI DELL’EVOLUZIONE
3.1. il fissismo: è la teoria secondo la quale le specie non sono soggette a
mutazioni, ma si mantengono identiche dalla loro comparsa alla scomparsa:
Cuvier, il fondatore dell’ anatomia comparata, sosteneva questa teoria. Pure
Linneo riteneva le specie date così come oggi le vediamo, e il suo lavoro fu un
prezioso lavoro di ordinamento, a cui tutt’oggi si fa riferimento.
3.2. Il trasformismo: secondo il trasformismo le specie sono soggette a
mutamenti: teorie trasformiste sono state proposte, prima di Darwin, da Buffon: la
presenza di grandi gruppi indica l’origine dei viventi da pochi stipiti ancestrali: le
specie si sono differenziate per degenerazione, dal più nobile e complesso al più
vile; e da Lamark: da primitive forme viventi si sarebbero formati gli esseri più
complessi: ogni essere avrebbe teso a svilupparsi conformandosi alle necessità
della vita attraverso l’esercizio degli organi, che, usati, si sviluppano, inutilizzati si
atrofizzano. I caratteri acquisiti si trasmetterebbero poi alle successive generazioni
(siamo nel ‘700). Queste teorie precedono ed in un certo senso anticipano
l’evoluzionismo.
3.3. Il creazionismo: ponendo il creazionismo e l’evoluzionismo a confronto col
fissismo ed il trasformismo dobbiamo essere coscienti di un’ asimmetria: infatti
mentre fissismo e trasformismo sono interpretazioni scientifiche di fenomeni
osservabili, il creazionismo e l’evoluzionismo propongono concezioni globali del
mondo e della sua evoluzione, che vanno al dilà di quello che di solito si intende
come teoria scientifica.
3.3.1. Il creazionismo ingenuo A prendere alla lettera il racconto biblico si cade
nel creazionismo ingenuo. E’ l’errore del fondamentalismo: propriamente il
fondamentalismo trae origine da un documento redatto a Fort Niagara nel
1895, in ambito protestante (soprattutto evengelico): in esso si formalizzavano
cinque verità bibliche “fondamentali”, ritenute del tutto imprescindibili ed
indiscutibili: fra queste l’inerranza verbale o verità letterale delle scritture.
Prendere alla lettera la Bibbia significava anche affermare che il mondo è stato
creato in sette giorni, che la terra ha circa diecimila anni, ecc. e scontrarsi con
le evidenze portate dalla scienza. Un’esegesi adeguata deve considerare che
la parola della Bibbia è parola incarnata nella parola umana di una determinata
epoca e di un determinato ambiente, con i suoi modi di esprimersi, anche mitici
o simbolici, con i suoi generi letterari: solo dopo queste considerazioni si può
individuarne il significato universale: le parole usate avevano nel mondo
semitico di tremila anni fa, il potere di evocare un senso che oggi percepiamo
solo se ci sforziamo di metterci nei panni di chi lo ascoltava allora. Il racconto
biblico della creazione tende ad affermare alcune verità di carattere teologico:
la creazione di tutte le cose da parte di Dio e la sua signoria sull’universo; la
bontà del creato nel progetto di Dio; la creazione speciale dell’uomo e la sua
dignità di persona libera (a sua immagine); lo stato di felicità in cui l’uomo era
stato posto e che esso stesso ha rovinato col peccato; la irrevocabile
perfettibilità dell’uomo. Ma non si può chiedere all’agiografo una trattazione
scientifica.
3.3.2. Approfondimento della concezione creazionista “Il senso profondo di
una concezione creazionista non è nella lettera del Genesi ma in ogni visione
nella quale le forme siano prima degli esseri reali” (Sermonti): Species tot
numeramus quot diversae formae in principio sunt creatae (Linneo) (una
formula del creazionismo ingenuo sarebbe: species tot numeramus quot
diversae in principio sunt creatae). Alla base della concezione creazionista sta
una concezione della causalità e del determinismo. Nell’atto creativo opera la
causalità ontologica (fra l’ente e l’ente assoluto), diversa dalla causalità ontica
(fra ente ed ente), che opera nel mondo creato. Nella creazione Dio non solo è
causa prima, ma è causa unica e totale, mentre nell’ambito della mutatio
entrano in campo le cause seconde. “L’atto creativo va inteso come
globalmente fondante, con un unico atto rispetto alla totalità dell’universo
fisico, il concorso causale fisico nella determinazione dell’esistenza e
dell’essenza di ciascun ente fisico, e non come “interruzione” o “sospensione”
di tale concorso…come in certe teorie creazioniste e anti-evoluzioniste, oggi
tornate di moda, tutte tese a trovare dei gap nelle spiegazioni biologiche
dell’origine delle specie in cui inserire l’intervento del Creatore. Salvo poi
doversi rimangiare la supposta “spiegazione metafisica”, alla teoria biologica
successiva, in grado di risolvere il gap della teoria precedente” (G. Basti, pag
61 e nota). Per l’essere umano, poi, la creazione assume un significato
particolare, che postula la necessità della fondazione della componente
spirituale dell’anima umana (quella che la teologia cristiana afferma come la
creazione speciale di ogni anima) su una relazione causale “ultima, perché
costitutiva della formalità individuale irriducibile e inalienabile della singola
persona, che ogni individuo umano ha con un Agente trascendente la natura
fisica, biologica e culturale”, che la rende capace di controllare “l’inviluppo di
relazioni causali con gli altri agenti fisici, biologici e culturali che costituiscono il
tessuto della sua esperienza” e quindi di essere libera dai condizionamenti
fisici, biologici, culturali. “La dottrina teologica cristiana della creazione da parte
di Dio di ogni singola anima umana non deve essere più intesa, come nella
sua interpretazione neoplatonica, quale un atto singolare… che in qualche
modo interromperebbe il corso deterministico della natura, ma come
simultanea all’intera esistenza di ciascun individuo umano, sulla terra e oltre.
Ma soprattutto tale causalità divina va intesa come fondante la formalità del
particolare determinismo causale, logicamente (matematicamente)
impredicibile, dei processi di auto-organizzazione della generazione e crescita
biologica e quindi del comportamento consapevole della persona umana”
(Basti, pag.61). Per spiegare in termini scientifici tale causalità, è necessaria
un’adeguata teoria matematica e sperimentale dell’informazione, che è ancora
da perfezionare. Infatti “la vita psichica degli animali e soprattutto dell’uomo,
seppure sempre mediata da scambi di energia con l’ambiente, non dipende da
questi, ma dall’informazione veicolata attraverso questi scambi.” Superando il
materialismo di fatto che presiede allo sviluppo, all’interpretazione e soprattutto
alla divulgazione dei risultati delle scienze naturali moderne. (Basti, pag. 62).
3.3.3. Creazionismo e concezione ilemorfica della natura La causalità
presuppone che la forma preceda il vivente: è questo il nocciolo della
concezione creazionista. Si può constatare l’idoneità della teoria ilemorfica a
rendere conto dell’evoluzione. “La materia prima tende alla perfezione
nell’acquistare attualmente una forma che possedeva solo potenzialmente,
sebbene cessi in tal modo di avere in atto quella di prima: poiché così la
materia riceve tutte le forme alle quali è in potenza, in modo che la sua
potenzialità viene attuata successivamente, non potendosi fare questo in
maniera simultanea.” (Contra Gentiles, III, c 22). “Tendenzialità metafisica
della materia prima verso forme diverse, che diventa una tendenzialità
evolutiva se le si aggiunge la dimensione temporale” (Possenti, pag. 140)
3.3.4. La teoria del Disegno intelligente: E’ una teoria che si è sviluppata
recentemente in America: mette in luce alcuni punti deboli della teoria sintetica
dell’evoluzione, e propone una interpretazione dell’evoluzione come di un
processo in tutto o in parte guidato da un disegno intelligente, perché ritiene
che senza un’intelligenza operante non sarebbe stato possibile il formarsi della
complessità biologica: alcuni autori (Michael J. Behe) sostengono che le
conoscenze attuali di biologia molecolare dimostrano che la cellula contiene
strutture “irriducibilmente complesse”, tali che se si rimuove una sola parte di
queste strutture, il tutto non funziona più; deducendone che almeno la prima
cellula deve essere nata da un processo guidato intelligentemente. Altri
(William A. Dembski) estendono il disegno intelligente a tutta l’evoluzione:
organismi che mostrano una “complessità specifica” non possono essere nati
dal caso o da necessità fisiche: debbono essere frutto di un disegno
intelligente: una prova della complessità specifica degli organismi animali, può
trovarsi nella corrispondenza delle loro parti a quelle di macchine progettate
dall’intelligenza umana: vedi l’occhio e la macchina fotografica; inoltre Dembski
cerca di dimostrare matematicamente che la spiegazione darwiniana
dell’evoluzione attraverso le mutazioni casuali e la selezione naturale non è più
efficiente di qualsiasi strategia di ricerca al buio, ed è quindi insufficiente a
spiegare il processo evolutivo: processo che si può attribuire solo ad un agente
intelligente, che abbia inserito un progetto all’inizio della vita o addirittura agli
albori dell’universo. Quella del d.i. è una teoria nata in ambienti religiosi
conservatori, ma non fa direttamente riferimento all’azione divina, rimanendo
piuttosto indeterminata la natura dell’ intelligenza che dovrebbe regolare il
processo evolutivo: ha soprattutto l’aspirazione di superare una concezione
meccanicista e di ridare dignità alla persona umana. Mette in rilievo alcuni
punti deboli della teoria evoluzionistica dominante, profondamente materialista,
ma non ne fornisce una critica del tutto convincente. Può essere curioso notare
come l’espressione “disegno intelligente” a proposito della genesi del mondo
sia stata usata già da Eraclito, due millenni e mezzo fa (VS 22 A 10 DK).
3.4. L’evoluzionismo
3.4.1. Dall’osservazione della natura si ha l’impressione che ci sia stata
un’evoluzione verso la complessità e l’organizzazione, verso specie viventi
sempre più performanti, fino ad arrivare all’essere umano razionale e
cosciente. Da queste considerazioni sono nate le teorie evoluzionistiche. Esse
si sono storicamente contrapposte alle teorie creazioniste, specialmente al
creazionismo nella sua forma ingenua, che ha connotazioni esplicitamente
fissiste; la contrapposizione, che era nata fra un creazionismo fissista ed un
evoluzionismo trasformista, ha trovato la sua vera ragione, al momento in cui il
creazionismo si è distinto dalla posizione fissista, nella pretesa
dell’evoluzionismo di giustificare tutta la natura vivente, compresa l’intelligenza
umana, con le sole cause materiali. In realtà il creazionismo si pone la
domanda sull’origine in una prospettiva che si estende al dilà del campo
dell’evoluzionismo: su un piano causale, come abbiamo visto, diverso. Si può
affermare che la disputa fra creazionismo ed evoluzionismo è oggi a tutti gli
effetti una disputa sul materialismo.
3.4.2. Darwin: la teoria darwiniana, nella sua formulazione originaria, parte da
alcuni presupposti: a) l’idea che le specie si modifichino per adattarsi
all’ambiente; b) l’idea della selezione, pervenuta a Darwin dall’osservazione
della selezione operata dagli allevatori di animali e poi associata alla selezione
naturale; c) l’idea della lotta per l’esistenza (preservazione delle razze favorite
nella lotta per la vita), che gli proviene dagli studi di Malthus sulle popolazioni
in condizioni di limitatezza delle risorse: in esse arriva allo stato riproduttivo e
quindi si perpetua solo la linea che ha più capacità di adattamento; d) l’idea
della conservazione delle variazioni vantaggiose e della perdita di quelle
svantaggiose. Da questi presupposti nasce la teoria della selezione naturale
(1859): alcuni individui ( o razze) sono più adatti di altri alla lotta per la
vita – gli individui (o razze) più adatti tendono a prevalere sostituendosi
via via ai meno adatti – le specie divengono nel complesso più adatte,
migliori. Nella teoria darwiniana rimane aperto il problema di come si genera
la variabilità. Rimane anche aperto il dibattito sulla trasmissibilità o meno dei
caratteri acquisiti (già sostenuta da Lamark; e sembra accettata, almeno nella
prima redazione della sua opera, anche da Darwin, mentre rimarrà sempre
osteggiata dalla scienza ufficiale). La teoria sarà completata con gli studi
successivi: sarà Hugo de Vries a introdurre il concetto di mutazione (1903)
(perturbazione a livello del meccanismo di replicazione), che genera nuovi
caratteri trasmissibili per generazione. Si arriverà poi alla formulazione di una
teoria in cui mutazione (opera del caso) e selezione naturale spiegano
l’evoluzione: teoria sintetica dell’evoluzione (1930): - le mutazioni generano
la variabilità delle specie – le varie linee mutanti hanno un diverso grado
di adattamento – la composizione genetica di una popolazione tende a
variare sotto la pressione della selezione naturale – la progressiva
modificazione dà origine ai nuovi gruppi viventi. La teoria sintetica vuol
rendere conto dell’origine delle specie viventi, attraverso le mutazioni casuali e
l’opera della selezione naturale che preserva le variazioni utili e lascia perdere
quelle non utili. Essa viene comunemente chiamata “darwiniana”, anche se è
assai diversa dalla teoria originale di Darwin stesso; ha sicuramente una
valenza polemica, nei confronti delle teorie creazioniste, e anche una
connotazione materialista ed antireligiosa: “La teoria dell’evoluzione di Darwin
fu elaborata per mostrare che le caratteristiche così fantasticamente
complesse degli organismi possono emergere senza l’intervento di una mente
creatrice… l’evoluzione rispecchia ampiamente l’azione combinata di
mutazioni casuali e di selezione naturale” (Le Scienze, Ottobre 2005, pag. 38).
3.4.3. Critiche alla teoria dell’evoluzione. Benché sia oggi quasi
universalmente accettata, la teoria sintetica dell’evoluzione ha indubbiamente
dei punti oscuri, che lasciano spazio a interrogativi ancora senza risposta. Si
allineano qui critiche di carattere biologico e critiche di carattere filosofico alla
teoria dell’evoluzione: il significato delle une è quello di mostrare che la validità
della teoria non è assoluta, ma che essa ricade fra le teorie scientifiche
falsificabili, e che la sua elevazione da teoria scientifica a visione filosofica
della natura, la rende soggetta a buon diritto a critiche di carettere filosofico, e
in particolare metafisico. Il significato delle seconde è quello di smascherare
anche le scelte di carattere filosofico che ne sono alla base e ad opporre ad
esse delle obbiezioni: la principale delle quali si può così riassumere: casus
non est causa: semmai può essere il modus operandi di una causa
3.4.3.1. Una prima critica di carettere generale colpisce il postulato di
oggettività: esso si enuncia così: “la natura è oggettiva e non proiettiva”, e
viene posto come una premessa arbitraria alla base di ogni ricerca
scientifica, ma anche alla base di ogni concezione di filosofia naturale che
si voglia accreditare come scientifica: esso infatti appare come “un
principio metodologico che guidò l’indagine scientifica e non come la
conclusione derivante da risultati ottenuti nelle indagini” (Hans Jonas). La
sua accettazione in filosofia della natura è stata resa possibile all’interno
del dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa, perché sarebbe
risultata contradditoria in un sistema non dualistico, essendo evidente il
finalismo dell’essere pensante. Il materialismo riduzionista ha poi lasciato
sempre più fuori la res cogitans, continuando ad applicare,
contraddittoriamente, il principio a tutto il mondo naturale. Inoltre
l’esclusione delle cause finali nello studio della natura può derivare dal
metodo matematico: infatti, se si considera la finalità legata soprattutto ai
movimenti che vanno dal meno al più perfetto, si deve prendere atto che
la matematica non conoscendo l’idea di più o meno perfetto, esclude “in
linea di principio la teleologia dal proprio sguardo”. Così l’ ontogenesi
viene “intesa come effetto necessario di reazioni di causalità efficiente che
provengono dalle determinazioni contenute nel seme”; la filogenesi come
“frutto di mutamenti casuali e della selezione naturale”. La causalità finale
resta confinata al regno della azione umana cosciente. Se invece
consideriamo gli assunti della filosofia classica, troviamo diverse accezioni
della finalità: finalità negli oggetti artificiali: essenziale all’oggetto e in esso
introdotta dal produttore; finalità volontaria, propria dell’essere dotato di
coscienza; finalità fisica, propria degli oggetti naturali: mediante la quale
l’agente si muove verso il fine o conosciuto istintivamente (animali) o in
nessun modo conosciuto (mondo vegetativo). Potentia dicitur ad actum;
omne agens agit propter finem. L’essere animato è capace di azione
transitiva (in cui ci si pone in relazione con altri enti) ed azione immanente
(in cui si perfeziona il proprio essere): appetitus. Possiamo definire
l’attività dell’ente naturale come operazione interna/operazione secondo
uno scopo: autoattività finalizzata. La scienza, che conosce solo cause
efficienti, non pare equipaggiata per riconoscere questo tipo di finalità. E
la scienza così ha raggiunto i suoi bei risultati: c’è quindi da chiedersi se
sia corretto criticare la teoria dell’evoluzione da questo punto di vista: in
fondo si tratta di una teoria scientifica ed in effetti potrebbe essere
scorretto giudicarla con criteri che non le sono propri; se non fosse che
questa teoria, nata come teoria scientifica, ha poi preteso di porsi come
l’unica interpretazione tout court del mondo naturale: bisogna distinguere
fra l’utilità metodologica di prescindere dalla finalità nella scienza e il
giudizio ontologico sull’essere della natura: scopriamo una differenza
essenziale della scienza e della sapienza: il postulato di oggettività non
può essere accettato in filosofia della natura senza adeguata
dimostrazione filosofica. In particolare: si può considerare superato il
dualismo cartesiano; ma non si può accettare senza discussione la
concezione riduzionista, presupposto dell’estensione del principio di
oggettività a tutto l’esistente. Concezione duale –e non dualista- della
natura e teorie dell’informazione atte a render conto dei sistemi biologici
(diverse da quelle atte a render conto dei sistemi fisici), sono il campo in
cui la discussione può svolgersi..
3.4.3.2. La teoria evoluzionista (si fa riferimento all’opera di Jacques Monod
(1970)) si fonda su tre proprietà degli esseri viventi: morfogenesi
autonoma; invarianza; teleonomia. Considerata la morfogenesi autonoma
come un meccanismo e non come una vera proprietà, Monod ritiene
l’invarianza più originaria della teleonomia, che è vista come una proprietà
secondaria derivata dall’invarianza: questa rimane la caratteristica
fondamentale delle specie dei viventi: “il progetto teleonomico essenziale
consiste nella trasmissione, da una generazione all’altra, del contenuto di
invarianza caratteristico della specie”: ogni altro progetto che possa
apparire appartenente all’organismo vivente, deve considerarsi come
“aspetto o frammento” di questo “unico progetto primitivo”. “L’evoluzione e
il progressivo affinamento di strutture sempre più teleonomiche sono
dovuti al sopraggiungere di perturbazioni in una struttura già dotata delle
proprietà di invarianza” (pag 34). Il meccanismo si basa sulle proprietà
stereospecifiche delle proteine: protagonista dell’evoluzione a livello
molecolare è il complesso stereospecifico non covalente, in cui le cui
caratteristiche chimiche peculiari di alcune proteine globulari le rendono
capaci di riconoscere le altre proteine e di creare selettivamente legami,
andando verso un incremento di ordine. In questo mondo in cui la regola è
l’invarianza (la “necessità”) il caso è unico generatore della diversità; la
selezione opera, a livello dell’organismo, accettando quelle mutazioni che
ne migliorano la prestazione teleonomica, per cui tutto il meccanismo ci
appare come se fosse diretto a realizzare un progetto; ma è solo
un’illusione. Il caso va inteso nel senso di meccanismo essenzialmente
imprevedibile per la sua stessa natura, a livello microscopico quantistico,
in cui opera il principio di indeterminazione; per cui non è imprevedibile
per noi, in relazione a strumenti inadeguati per prevederlo, ma lo è in
senso assoluto, e non potrà mai essere oggetto di una previsione, se non
di natura statistica. A questa concezione si obietta che se il caso assume
la gestione dell’evoluzione “ogni forma sarebbe un’imprevista vincita alla
lotteria del disordine” (Sermonti). Si ammette anche che a fronte di un
numero grandissimo di generazioni, possa aversi un numero sufficiente di
mutazioni perché la selezione naturale abbia materia per scegliere nuove
forme più adatte; ma da qui ad ipotizzare l’emersione di nuove specie,
soprattutto negli animali superiori, nelle piante, dove i tempi sono lunghi,
le mutazioni possono succedersi a intervalli di migliaia di anni, il
passaggio appare difficile. Forse viene postulato solo per rispondere
all’esigenza di completezza e di coerenza della teoria? Bisogna anche
considerare che, fra le mutazioni, la gran parte sono peggiorative, e
vengono scartate dalla selezione naturale: sarebbe quindi necessario il
lavorio del tempo, dei milioni di anni: riesce comunque difficile concepire
che da variazioni del tutto casuali si possa arrivare a nuove forme sempre
più complesse e di un grado di complessità quale quello dei viventi. Si
potrebbe dire che la teoria sintetica spiega bene la microevoluzione (cioè
le piccole mutazioni all’interno delle specie), ma non la macro evoluzione
(cioè la differenziazione dei generi e delle specie). Ma c’è anche
un’obiezione filosofica di fondo: “poiché si può dimostrare senza difficoltà
che la casualità implica necessariamente la causalità, l’idea di un caso
originario è contraddittoria” (Possenti, pag. 143). E c’è un’obiezione del
senso comune: potrebbe mai qualcuno che toccasse i tasti di una
macchina da scrivere senza conoscere il significato delle lettere, a caso,
scrivere la Divina Commedia, qualunque sia il tempo (finito) che gli viene
concesso? Quasi in una curiosa contraddizione col principio di oggettività,
un evoluzionista può affermare: “La teoria dell’evoluzione di Darwin fu
elaborata per mostrare che le caratteristiche così fantasticamente
complesse degli organismi possono emergere senza l’intervento di una
mente creatrice…”; così la teoria che nega ogni finalismo, un fine ce l’ha:
mostrare che in natura non c’è finalismo.
3.4.3.3. L’informazione necessaria è contenuta nel dna: sostanziale unità
biologica dei viventi: “i costituenti essenziali, che sono da un lato i
nucleotidi (4), dall’altro gli ammino-acidi (20), rappresentano l’equivalente
logico di un alfabeto… in cui può essere scritta tutta la diversità delle
strutture e delle prestazioni della biosfera” (Monod); si tratta comunque di
un codice arbitrario e senza ambiguità; sul dna si fonda l’invarianza delle
specie, che possono attraversare generazioni e generazioni senza
perdere i loro caratteri fondamentali: il dogma centrale della biologia
evoluzionista è: l’informazione è tutta nel dna e da questo si trasferisce
alle proteine: per cui: a) non esiste la possibilità di una trasmissione
all’incontrario, verso il dna (vedi Monod); b) non esiste altra informazione
al di fuori del Dna. Però anche queste affermazioni vengono messe in
dubbio dai critici della teoria sintetica: in particolare si obietta che l’
approfondimento dello studio del dna ha mostrato che non c’è una
relazione diretta fra la complessità degli organismi e quella del loro dna:
questo conforta i sostenitori dell’esistenza di “altra” informazione:
informazioni contenute nell’uovo (l’uovo ha una sua struttura ed una sua
polarità, che trasmmettono informazioni all’embrione), nel “campo
materno” (il mulo e il bardotto hanno lo stesso corredo genetico: le
differenze nascono dal nascere nell’utero di un’asina o di una cavalla),
recepite dall’ambiente: possibilità che queste informazioni diverse da
quelle contenute nel dna siano acquisite e diventino trasmissibili per via
ereditaria.
3.4.3.4. Pretesa di completezza: come abbiamo già notato, la teoria sintetica
dell’evoluzione pretende di essere in grado di render conto di tutto lo
svolgimento della vita, anche di quegli aspetti che ancora non sono stati
conosciuti ed interpretati: si pone quindi come un giudizio assiologico sulla
totalità dell’esistente biologico, supportato dai risultati di indagini
scientifiche che si fondano solo sulla parte conosciuta dell’esistente e che
potrebbero essere falsificati.
3.4.3.5. iI problema dell’entropia: se l’universo, per il secondo principio della
termodinamica, va verso la perdita di ordine, l’ entropia, l’evoluzione
sarebbe un tornare indietro verso forme di ordine sempre maggiore (ma si
obietta che un incremento locale di ordine non contrasta col secondo
principio della termodinamica, perché il “debito” viene comunque pagato
all’interno del sistema: Monod). Inoltre si è anche affermato che l’ordine
generato dalle cause formali supera il principio di estensionalità e non può
essere misurato alla luce del secondo principio della termodinamica (G.
Basti). Restano però valide obiezioni del senso comune, tipo: “Il più non
discende dal meno”: ed il significato del secondo principio è anche
questo. Come si può generare dell’informazione dal nulla? Come si può
invocare l’opera del tempo, se tempus per se magis est causa corruptionis
quam generationis (Aristotele)? (D’altra parte Buffon, uno dei primi
trasformisti, sosteneva un’ evoluzione alla rovescia, una degenerazione
da specie più nobili a specie meno nobili).
3.4.3.6. La teoria dell’evoluzione presuppone una visione utilitaristica, in cui
ogni variazione avviene in vista di un vantaggio nella lotta per l’esistenza;
ma questa visione potrebbe essere arbitraria; ad essa si contrappone la
concezione neutralista, secondo cui le forme dei viventi dipendono più da
necessità di tipo “geometrico” che dal bisogno di adattarsi ad una
funzione. “Alla biologia si presenta oggi il compito di trovare le regole
costruttive delle forme e delle figure dei viventi… le forme dei viventi, che
solo secondariamente sono riferibili alle necessità funzionali, sono il
risultato delle regole della crescita, dei principi di stabilità strutturale, e
della fantasia della natura. Esse sono la realizzazione di archetipi
raggiunti, di tempo in tempo, dal fronte dell’esistenza.” (Sermonti).
3.4.3.7. La teoria dell’evoluzione presuppone una concezione atomista della
natura: a questa si contrappone una visione in cui le forme della vita si
sviluppano in moduli che si riproducono secondo un numero definito di
modelli preesistenti, per cui non tutte le forme sono possibili, ma solo
quelle che si trovano nella “biblioteca” della natura. A sostegno di questa
tesi, si portano le geometrie sottese alle forme dei viventi, spesso
interpretabili matematicamente: il ricorrere di forme derivate dalle
principali figure geometriche, per ripetizione, stiramento, traslazione (per
fare un esempio: il profilo della la foglia dell’ippocastano derivato dalla
funzione r=sin (Θ/2)); e poi troviamo spirali, ellissi, ecc … “come esistono
il triangolo, il quadrato, il pentagono tra le figure geometriche, ma non
figure intermedie, così esistono gli archetipi nella biologia ... E come la
somma degli angoli di un triangolo è di 180 gradi, la somma di due lati è
sempre maggiore del terzo, la superficie è comunque eguale alla metà
della base per l’altezza, così nell’archetipo di una categoria di viventi
esistono un gran numero di necessità interne, di regole specifiche, di
destini convergenti, dai quali la categoria non può derogare, spostandosi
verso il biologicamente impossibile o verso un’altra categoria” (Sermonti).
3.4.3.8. Alla concezione secondo cui le specie deriverebbero le une dalle
altre, dalle più elementari e primitive alla più sviluppate e complesse
(continuità), si contrappone una visione discontinua della successione
delle specie viventi, confermata anche dalla paleontologia. “La
trasformazione graduale delle specie per mutazione-selezione non è più
sostenibile perché è ormai provato (dalla paleontologia) che il succedersi
dei gruppi viventi avviene per salti e non per gradi” (Sermonti). Resta
senza risposta anche la domanda sulla prima comparsa della vita sulla
terra: accogliendo la teoria dell’abiogenesi, la vita si presenta come un
evento estremamente improbabile: “l’origine della vita per caso non è più
sostenibile, perché la vita più elementare è incredibilmente complessa”
(Sermonti)
3.4.3.9. I modelli cosmogonici più accreditati nell’ambito della Teoria del Big
Bang, mostrano che già nel primo attimo dell’universo le condizioni
termodinamiche si dovevano esser messe in un certo modo: con una
deviazione anche infinitesimale da quello che è stato, non si sarebbero
potuti formare i costituenti delle macro-molecole (gli atomi pesanti) e
quindi della vita come la conosciamo noi: anche questo orienta verso una
concezione creazionista, secondo cui nell’universo, fin dal primo attimo,
doveva esserci una quantità di informazione, che ne indirizzava fin
dall’inizio l’evoluzione verso forme pre-concepite e non raggiunte per caso
3.4.4. Gli evoluzionisti sostengono che le teorie creazioniste sono miti introdotti
per porre l’uomo al centro dell’universo, e che, con il sapere che viene dalla
scienza, devono essere abbandonate, anche se abbandonarle lascia nell’uomo
un senso di angoscia, simile a quello generato dalla rivoluzione copernicana,
che scardinò la concezione geocentrica: l’uomo è un’entità biologica come le
altre, venuto fuori alla lotteria della natura e che aveva, prima di apparire,
scarsissime probabilità di venire all’esistenza (Monod). Basilare, invece, nella
concezione creazionista, è l’affermazione della distinzione dell’uomo dal resto
della natura: Attende, o homo, in quanta excellentia posuerit te Dominus Deus,
quia creavit et formavit te ad Imaginem dilecti Filii sui secundum corpus et
similitudinem secundum spiritum. Et omnes creaturae, quae sub coelo sunt,
secundum se serviunt, cognoscunt ed oboediunt Creatori suo melius quam tu.
(San Francesco d’Assisi). “Le teorie in cui l’uomo emerge per caso in rapporto
all’aleatorietà dei meccanismi evolutivi, cooperano ad eliminare dalla scienza e
dalla cultura l’idea della teologia naturale, di un universo creato da una mente
saggia, e dove l’uomo sia ad immagine di Dio” (Possenti, pag. 143). Sono la
premessa della naturalizzazione dell’etica e della religione.
3.4.5. L’insegnamento della Chiesa Cattolica: la Chiesa ha abbandonato da
tempo (almeno dall' Enciclica Humani Generis di Papa Pio XII) la preferenza
per una concezione fissista; la teoria dell’evoluzione viene accettata come
teoria scientifica che rappresenta “qualcosa di più di una mera ipotesi” (Lettera
di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze del 22 Ottobre
1996); ma c’è una forte riserva: non possono essere accettate tutte quelle
concezioni che “accreditando il principio di immanenza, identificano in pratica
la sfera totale della realtà con l’universo che può essere investigato con le
metodologie della ricerca empirica” (S. Muratore: Magistero e Darwinismo – La
Civiltà Cattolica n. 1 Gennaio 1997): “più che della teoria dell’evoluzione,
conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato
dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo
dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie a cui si fa riferimento. Esistono
pertanto letture riduttive e materialistiche e letture spiritualistiche. Il giudizio è
qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia”
(Lettera…). Quella che viene accolta, più che una teoria dell’evoluzione, è una
prospettiva interpretativa della pluralità dei processi evolutivi. Comunque la
Chiesa, abbandonata una posizione che portava a “postulare un intervento
creativo per ogni salto evolutivo”, afferma la necessità di uno specifico atto
creativo soltanto per la generazione dell’uomo, in quanto essere personale (S.
Muratore, cit.). Emerge anche il principio antropico: “l’evoluzione cosmologica
sembra prendere un senso più ricco dall’emergenza della vita intelligente,
dell’osservatore”. Si afferma una metafisca creazionista, alternativa non alla
lettura scientifica della realtà, “ma solo a quelle letture naturalistiche che
accreditassero la chiusura immanentistica” (S. Muratore). Ma la risposta dei
sostenitori dell’evoluzionismo è piuttosto scoraggiante: infatti l’evoluzionismo
vuol porsi come unica interpretazione di tutti i fenomeni naturali e rifiutare tutto
quello che non può essere interpretato col suo metro. Davanti alla posizione
della Chiesa cattolica che “ribadisce che i processi materiali dell’evoluzione
non possono essere chiamati in causa per spiegare l’emergere delle facoltà
superiori (“spirituali”) dell’uomo”, afferma che “non ci si può aspettare che le
religioni riconoscano che la loro esistenza dipende dal fatto sperimentalmente
provato che la nostra specie ha sviluppato, sotto la pressione della selezione
naturale e per migliorare le interazioni sociali, una capacità particolarmente
sofisticata di auto ingannarsi” (Gilberto Corbellini: Il Sole di Domenica 12
Febbraio 2006). Il contrasto irriducubile fra le due visioni è in un certo senso
dominato dalla sapienza, che si permette di giudicare la scienza: è così ben
evidenziato da questo brano della Gaudium et spes (n.57): “certo, l’odierno
progresso della scienza e della tecnica, che in forza del loro metodo non
possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo
fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno
uso queste scienze, viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della
verità totale.”
4. PERSONA
4.1. Pe comprendere il significato della persona, bisogna rifarsi al concetto di
natura e di natura umana, caretterizzata dalla razionalità (o, per meglio intendersi,
dalla ragione e dall’intelletto), e che la Rivelazione ci indica ad immagine di Dio.
La più nota definizione di persona che troviamo nella storia della filosofia risale a
Severino Boezio, vissuto fra il V ed il VI secolo dopo Cristo. Essa fa tesoro della
speculazione maturata in quasi dieci secoli di filosofia greca, del ripensamento che
della filosofia greca fu fatto nella cultura latina e della maturazione del primo
pensiero cristiano (a sua volta nutrito dal confronto con la filosofia greca) avvenuta
nella patristica: è quasi una sintesi consegnata dalla classicità al miracoloso
sviluppo filosofico che, dopo cinque o sei secoli, si avrà nel medio evo cristiano>
rationalis naturae individua substantia. Queste quattro parole racchiudono una
grande ricchezza di significati e di richiami: proviamo ad esplorarle brevemente:
- Substantia. La persona viene definita come sostanza. Sostanza è termine di
chiara derivazione aristotelica, e significa innanzi tutto, sul piano della logica,
soggetto: si dice infatti che sostanza è ciò che non è in un soggetto né è
predicato di un soggetto; ciò di cui si può predicare qualcosa, ma che non può
esser predicato di alcuna cosa. Niente come la persona è sostanza in questo
senso: la persona è soggetto nel senso più proprio. Sul piano ontologico,
secondo Aristotele, “si ritiene che siano proprietà fondamentali della sostanza la
separabilità e l’individualità”: la sostanza è quindi distinta dal mondo esterno ad
essa e in sé compiuta. Inoltre la sostanza è per Aristotele il soggetto del
divenire: quello che i filosofi analitici di lingua inglese chiamano continuant
(Strawson), nel senso che, nella mutazione del divenire, la sostanza rimane
sempre se stessa e che è sempre riconoscibile come tale.
- Individua. Dire sostanza individua significa innanzi tutto dire sostanza prima
(αισυο ητϖρπ): la persona è sostanza nel senso primo (un uomo), non nel
senso di sostanza seconda (l’umanità). Persona si dice quindi del singolo
soggetto, dell’individuo appartenente alla specie umana, ma non della specie
stessa: viene in mente il pensiero di Kirkegaard: “l’uomo è l’essere in cui il
singolo sta più in alto del genere”. Dire sostanza individua significa inoltre che è
sostanza particolare, cioè interamente determinata: individuum: quod est in se
indistinctum, ab aliis vero distinctum: con ciò volendo significare più che “una
fisica atomicità dell’individuo come realtà non ulteriormente separabile, il
possesso unitario del proprio atto di essere” (Possenti): ciò non esclude quindi
che la persona sia un tutto (νολο), perché essere un tutto, cioè un intero, unità
continua di molte parti che possono a loro volta essere sostanza, non è affatto
incompatibile con l’essere individuo.
- Naturae. La substantia individua ha natura razionale. Natura è il sostrato
dell’essenza, ed è, anche, nella terminologia aristotelica, la forma. La persona è
quindi un essere compiuto e, nel concetto di forma, un essere finalizzato a
divenire in atto tutto quello che in potenza è. La forma è la perfezione,
l’entelechia della persona che si pone come sua essenza e come sua
realizzazione nel movimento dalla potenza all’atto: la persona è dunque il
soggetto di un un processo. Ciò non toglie che anche quando il processo non è
ancora compiuto, la persona esista già in atto: “risulta perciò salvaguardata
l’eccedenza della persona rispetto ai propri atti e fondata la differenza fra l’esser
persona e la personalità, se con quest’ultimo termine intendiamo la progressiva
acquisizione sul piano operativo di qualità che appartengono alla persona in
quanto fluiscono dalla sua essenza” (Possenti).
Rationalis. Razionalità è la differenza specifica che definisce l’uomo e lo distingue dall’animalità:
l’uomo ha una forma, una natura, che è la razionalità. San Tommaso chiarirà in modo mirabile e
definitivo quello che era più o meno oscuramente intuito dal pensiero cristiano precedente e che
si trova in nuce in queste quattro parole di Boezio: l’anima razionale è forma del corpo umano:
l’uomo è sinolo di corpo e di anima razionale; contro le filosofie materialiste che ritenevano
l’anima materiale o composta essa stessa di materia e forma e contro le tendenze averroistiche,
che negavano l’individualità dell’intelletto: è quella stessa anima che anima il corpo del singolo
uomo che in quel singolo svolge l’attività intellettiva (De Unitate Intellectus); e quell’anima
individuale è creata specialmente per ciascun uomo alla sua nascita ed è spirituale e in quanto
intellettiva, immortale: Sensus non cognoscit esse nisi sub hic et nunc. Sed intellectus
apprehendit esse absolute et secundum omne tempus. Unde omne habens intellectum,
naturaliter desiderat esse semper (S Th I, q.75,a 6). Attributi della persona sono, coerentemente
con quanto si è detto, la razionalità e la responsabilità: solo la creatura razionale può essere
persona e solo essa è soggetto di diritti e di doveri: Rosmini affermava che la persona è il diritto
umano sussistente; non hanno senso ontologico le personificazioni che portano ad attribuire
diritti agli animali, come alle classi sociali o alla società stessa. D’altra parte la responsabilità è
propria della persona e lo è specificamente in vista di una sua non contingenza: omne habens
intellectum naturaliter desiderat esse semper, in vista di un premio e di un castigo che trascende
l'esistenza intramondana. Inoltre deve essere chiaro che la persona si fonda sull’individuo:
individua substantia e solo nell’individualità trova il proprio terreno la libertà e la responsabilità:
l’affermazione di un condizionamento culturale che può essere esercitato dalla collettività in cui
si trova a vivere ed operare, propria di non poche teorie dello spirito umano (da Aristotele ad
Hegel alla “società delle menti” di Minski) e che renderebbe l’uomo capace di superare i
condizionamenti biologici per vivere di razionalità sì, ma non di una razionalità attivamente
elaborata dal singolo individuo, viene decisamente superata in una corretta prospettiva
metafisica, che fonda la “formalità irriducibile ed inalienabilile della singola persona su una
relazione causale che ogni individuo umano ha con un agente trascendente la natura fisica e
biologica (connotato come “Dio” dai credenti). Grazie a questa relazione causale, costituente la
formalità irriducibile di ciascun individuo nella sua totalità e nella sua unicità, la singola persona
umana è resa capace di divenire progressivamente consapevole, e quindi di controllare in modo
sempre meno parziale, l’inviluppo di relazioni causali con gli altri agenti fisici, biologici e culturali
che costituiscono il tessuto della sua esperienza (progressivamente) conscia e (largamente)
inconscia, durante tutta la sua vita.” (G. Basti) Cioè: “condizione metafisica per l’esistenza di
simili agenti intelligenti e liberi è che essi, oltre all’universale dipendenza dei componenti
materiali del loro corpo dall’azione creatrice divina come tutti gli altri enti fisici, manifestino,
diversamente da questi, un’ulteriore dipendenza dalla causa prima anche per la componente
formale del loro essere e del loro operare. Altrimenti essi non potrebbero controllare i
condizionamenti non solo biologici, ma anche culturali – generalmente mediati dal linguaggio-,
così da essere individualmente intelligenti e, dunque, liberi e responsabili nelle loro azioni” (G.
Basti)
-
4.2. l’approccio evoluzionistico alla natura umana: documenti:
4.2.1. “Rinunciare all’illusione che vede nell’anima una ‘sostanza’ immateriale non
significa negare la sua esistenza, ma al contrario cominciare a riconoscere la
complessità, la ricchezza, l’insondabile profondità del retaggio genetico e
culturale, al pari dell’esperienza personale, cosciente o no, che costituiscono
l’insieme del nostro essere, unico e innegabile testimone di se stesso” (Monod
pag. 153)
4.2.2. L’approccio materialistico alla mente, che vede in essa niente più che
l’epifenomeno dell’attività del cervello (approccio largamente condiviso dalla
comunità scientifica), tenta di dare risposte esaustive, ma il percorso di ricerca
è lungo e largamente insoddisfacente rispetto alle ansie di conoscenza. (Le
Scienze, Agosto 2001, pag. 113).
4.3. La persona travolta dall’evoluzione: da un lato l’evoluzione centra il
significato sui geni: per cui la persona diventa uno strumento per arrivare
all’affermazione dei geni migliori; dall’altro vede la persona come una cellula
dell’organizzazione sociale umana, e come lo strumento per arrivare
all’affermazione dei memi migliori. Se la persona deriva da una nascita casuale e,
dopo una certa durata, si dissolve nel nulla, si disgrega perdendo del tutto il suo
significato, non esiste responsabilità, non esiste premio o castigo; ma si può solo
badare alla “qualità della vita”.
4.3.1. L’uomo partecipa della materia, è materia, ma è anche sostanza spirituale
(quindi razionale ed intellettiva, volitiva, libera). Come tale è cosciente di se
stesso e della propria trascendenza rispetto alla materia che sente in sé:
appartiene all’ordine naturale, ma percepisce un ordine soprannaturale perché
sente che nell’ordine naturale non può concludersi (l’essere spirituale gli
suggerisce questo, davanti alla coscienza della morte). E’ un frutto
dell’evoluzione, se si vuole intendere la natura in questa prospettiva, ma il fatto
di esserne cosciente, lo proietta oltre: si accorge di dover essere misurato in
una misura diversa.
4.3.2. Ora la domanda è: il fatto di essere cosciente è solo una prestazione
psicologica derivata dall’evoluzione? o invece è il portato di una natura umana
che trascende l’universo fisico e biologico per essere concretamente spirito? la
risposta può darla solo la metafisica: perché non può essere una risposta che
non sia all’altezza della prestazione più alta e più universale della persona
umana. La risposta è nel trattato della causalità: potrà attingere alla
conoscenza scientifica che ci rende evidente che l’universo non può essere
eterno; potrà servirsi della consapevolezza psicologica della meditatio mortis; e
dovrà risolvere tutto questo in termini di causalità ontologica.
4.3.3. “Il sapere della scienza, per sua natura: è un sapere congetturale, parziale,
provvisorio, storicamente e culturalmente condizionato, dimostrabile falso ma
mai definitivamente vero, quindi soggetto a radicali cambiamenti; è composto
di teorie, acquisizioni e metodi egualmente parziali, provvisori, congetturali,
incerti e fallibili; è quindi incapace di verificare i propri presupposti, fondamenti,
identità ruolo e significato, verificabili solo dalla riflessione critica” (Gualberto
Gismondi OFM). “Un’interpretazione della scienza e della cultura che
volutamente ignori o mortifichi l’essenza spirituale dell’uomo, la sua
aspirazione alla pienezza dell’essere, la sua sete di verità e di assoluto, gli
interrogativi che si pone di fronte agli enigmi del dolore e della morte, non può
soddisfare le profonde e autentiche esigenze dell’uomo” (Giovanni Paolo II,
Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze del 3/10/81).
4.3.4. Bisogna considerare il simbolo come “l’espressione più specifica e
congeniale dell’ homo sapiens e centrale nei processi di ominizzazione,
umanizzazione e autocostruzione cosciente, ossia delle espressioni di
profonda umanità e più elevata razionalità. E’ ormai dimostrato che la stessa
attività scientifica si fonda su di essa, che è la base di ogni razionalità…La
capacità simbolica è quindi alla base della struttura generale della scientificità,
che consente ad ogni disciplina di elaborare la scientificità che più si addice al
suo fine, per poter costruire teorie capaci di spiegare e comprendere la realtà
indagata: i fenomeni per le scienze naturali, e gli eventi per le scienze umanosociali
e della religione” (Gismondi)… “le osservazioni scientifiche non sono
semplici descrizioni oggettive e neutre della realtà, ma complessi sistemi
linguistici i cui singoli componenti: termini, concetti, immagini, simboli, ipotesi,
logiche, teorie, linguaggi, ecc sono condizionati da ogni genere di presupposti,
da interpretare e valutare. … dati scientifici, descrizioni e rappresentazioni
scientifiche non vanno confusi con la realtà, di cui sono soltanto riletture e
descrizioni simboliche, interpretative e condizionate da numerosi presupposti,
come notava argutamente Einstein: le descrizioni della minestra non sono la
minestra…. Le acquisizioni scientifiche, parziali, unilaterali, provvisorie,
eccessivamente specialistiche, risultano reciprocamente incomprensibili. Di qui
la necessità di un confronto fra discipline scientifiche”… ma alla scienza
compete verificare “il corretto iter dalle premesse alle conclusioni, ma non
riflettere sui fondamenti, i presupposti, il rapporto fra asserzione scientifica e
realtà. Questo è proprio della filosofia (gnoseologia, ontologia, metafisica ed
etica)” (Gismondi). “Le scienze umane, a meno che non si riducano a un
compito puramente descrittivo di quanto empiricamente consta, non sono
saperi indipendenti, ma epistemologicamente subalternati all’etica ed
all’antropologia, nel senso che l’elaborazione dei loro concetti centrali non può
avvenier se esse non mutuano concetti e categorie dalle discipline filosofiche
suddette (ad esempio le nozioni di uomo, persona ,mente, psiche, anima,
società, norma, morale, sanzione, obbligazione) (Possenti Epistemologia e
scienze umane Milano, 1979).
4.4. L’uomo e l’universo:
4.4.1. Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: Dio ha
creato l’universo liberamente con sapienza e amore. Il mondo non è il prodotto
di una necessità, di un destino cieco o del caso. Dio ha creato dal nulla un
mondo ordinato e buono, che egli trascende in modo infinito. Dio conserva
nell’essere la sua creatura…(n. 54); L’uomo è il vertice della creatura visibile,
in quanto è creato a immagine e somiglianza di Dio (n. 63); Dio ha creato tutto
per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per conoscere, servire e amare Dio, per
offrirgli in questo mondo tutta la creazione in rendimento di grazie… (n. 66). Il
principio antropico: “l’evoluzione cosmologica sembra prendere un senso più
ricco dall’emergenza della vita intelligente, dell’osservatore”: il cosmo creato
trova nell’uomo, osservatore cosciente e consapevole, il proprio termine di
paragone. “Studi particolareggiati sulle relazioni fra la struttura fisica delle
stelle e le costanti fondamentali della natura hanno mostrato come eventuali
valori di quest’ultime, se anche di pochissimo diversi dagli attuali, avrebbero
prodotto strutture stellari e planetarie del tutto diverse da quelle attuali, con
conseguenze negative per l’esistenza di quelle forme di vita che conosciamo.
Dinanzi alla novità di queste considerazioni riguardanti la serie di circostanze
critiche per l’esistenza della vita nell’universo, si è formato un principio il quale
più che dare una spiegazione sottolinea questa criticità e allo stesso tempo ne
rifiuta qualsiasi spiegazione che faccia ricorso al caso. In esso si è voluto
esprimere la convinzione che tutte le numerose e particolarissime condizioni di
natura cosmica, locale e ambientale, rispondono all’esigenza del verificarsi di
condizioni possibili per l’affermarsi e l’evolversi dei fenomeni vitali, fino a
giungere al livello umano”. (Sergio Rondinara, N.U. n. 115, pag. 68, in nota)
4.4.2. Ma, davanti alle acquisizioni della scienza da una parte, ed all’affermarsi
della teoria evoluzionistica come una specie di “filosofia prima” che pretende di
spiegare l’insieme di tutto il reale e di porsi come l’autentico fondamento della
comprensione razionale del mondo, dobbiamo prendere atto di una definitiva
separazione della ragione dal cristianesimo? E di una definitiva rinuncia ad un
fondamento dell’essere del mondo che non sia che materia e caso? Cioè della
rinuncia della ragione a porsi al disopra dell’irrazionale? Mi sembra che sia
necessario rileggere con occhi diversi tutta la storia: il cristianesimo orienta la
religione verso una visione razionale del reale, e considera l’ethos come parte
di questa visione, e ne vede l’applicazione concreta sotto il primato dell’amore:
logos e amore non si presentano come alternativi: il logos non è solo la
ragione matematica a base di tutte le cose, ma amore creatore, fino a
diventare com-passione verso la creatura. “Una spiegazione del reale che non
può in modo sensato e comprensivo fondare un ethos resta necessariamente
insufficiente. Ora è un fatto che la teoria evoluzionista, là dove rischia di
allargarsi a philosophia universalis, tenta di fondare un ethos sulla base
dell’evoluzione. Ma questo ethos evoluzionistico, che trova ineluttabilmente la
sua nozione chiave nel modello della selezione, e quindi nella lotta per la
sopravvivenza, nella vittoria del più forte, nell’adattemento iruscito, ha poco di
consolante da offrire. Anche là dove si cerchi di abbellirlo in vari modi, resta
ultimamente un ethos crudele” (J Ratzinger: Verità del Cristianesimo?
Conferenza tenuta alla Sorbona sul tema “2000 anni dopo che cosa?”)
4.4.3. Le cose tutte quante/ hanno ordine tra loro, e questa è forma/ che l’Universo
a Dio fa somigliante./ Qui veggion l’alte creature l’orma/ de l’etterno valore, il
qual è il fine/ al quale è fatta la toccata norma./ Ne l’ordine ch’io dico sono
accline/ tutte nature, per diverse sorti,/ più al principio loro e men vicine;/ onde
si muovono a diversi porti/ per lo gran mar dell’essere, e ciascuna/ con istinto a
lei dato che la porti (Par. I, 104-114).
Laudes creaturarum
Altissimu, onnipotente, bon Signore
tue so' le laude, la gloria e l'onnore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullo homo ene dignu te mentovare.
Laudato sie, mi Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual'è iorno, et allumini noi per lui.
Et ello è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'hai formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale enallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra madre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke sosterranno in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore et rengratiate
e serviategli cum grande humilitate. (San Francesco d’Assisi).
Le posizioni sono così abbastanza ben delineate: c’è da chiedersi questo: sarà superata
una concezione della filosofia come ancilla scientiarum? E una considerazione: chi ha
segnato il vertice raggiunto dall’umanità? La massima prestazione dell’uomo? Tutto lo
sviluppo del pensiero umano sembra deporre a sfavore del pensiero scientifico
modernamente inteso: che poi è solo un episodio, limitato nel tempo e nelle competenze,
della storia dell’uomo: abbiamo fatto guadagni qualitativi rispetto ad Aristotele e a Platone,
ad Eschilo e a Pindaro? Se lo scopo della scienza è quello di conseguire la miglior qualità
della vita, dobbiamo rispondere che anche sulla qualità occorre intendersi: e che non può
costruirsi a scapito della verità della vita creaturale, che è imperfetta nelle prestazioni, ma
grande nella possibilità di amare e di essere amata: la ricerca della perfezione delle
prestazioni è una rincorsa infinita ed eclissa necessariamente l’amore, l’amore della
creatura imperfetta così com’è; la ricerca della perfezione è anche figlia del dogma che
tutto si può avere, tutto si può comprare, o lo si potrà quando la scienza avrà fatto più
progressi o quando la società sarà diventata più perfetta. Il dibattito sulla naturalizzazione
della religione è indicativo dell’insofferenza della scienza verso la subordinazione e della
sua volontà di tagliar via gran parte dell’ humanitas come la intendiamo oggi;
l’affermazione, d’altro lato, della subordinazione della scienza alla filosofia nella ricerca
della verità sull’intero, si può intendere come la strenua, ma non disperata, volontà di
conservare quell’humanitas ed il valore dei suoi frutti. Leggevo sul Domenicale del Sole 24
Ore del 14 Maggio 2006 un articolo di Ian McEvan sul valore estetico della letteraratura
scientifica: non vorrei – e sicuramente questo non è lo scopo consapevole - che
attribuendole questo valore si voglia far passare come inutile all’uomo d’oggi migliaia di
anni di produzione poetica e filosofica e religiosa. La linea bisettrice è sempre la stessa,
appunto da migliaia di anni: Democrito ed Epicuro o Platone ed Aristotele? Siamo figli del
caso o figli di Dio? Dobbiamo cercare la perfezione nell’ingegneria genetica o nell’amore?

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