mercoledì 25 ottobre 2017

IL CONCETTO IN LOGICA



IL CONCETTO IN LOGICA

di Franco Biagioni


Leggiamo in Vittorio Possenti: La filosofia dopo il nichilismo, Rubbettino editore 2001, a pag 18:
“l’accettazione del presupposto kantiano sulla separazione fra pensare ed essere trasforma … il concetto di verità da una relazione fra mente e cose, ossia fra soggetto e oggetti, in una relazione fra oggetti, in cui non sarebbe mai possibile verificare la corrispondenza…”

Il guasto metafisico e gnoseologico, ha un riscontro a livello logico: si consideri il tema dell’interpretazione. L’interpretazione è il processo mediante il quale il soggetto riferisce un segno all’oggetto che il segno stesso designa: nella concezione classica è l’ istituzione del rapporto fra segno (verbale o grafico: significante: semaion) e il concetto (significato: lektòn): l’istituzione di questo rapporto consente altresì di connettere il segno, mediante il concetto (intentio), all’oggetto inteso nel concetto stesso (designato: semainomènon): il semaion ed il semainomènon sono realtà corporee e tangibili; il lektòn ha una realtà solo mentale. Questa concezione può esser fatta risalire ad Aristotele[1][1] ed agli  Stoici. Sesto Empirico, che la confutava, così la descrive: “Gli stoici affermano che tre cose sono fra loro connesse: il significato, il significante e la cosa esistente: tra queste il significante è la voce, per esempio la parola Dione; il significato è appunto ciò che viene indicato dalla voce e che noi apprendiamo come esistente in dipendenza dal nostro pensiero, mentre i barbari, pur ascoltando la voce che lo indica, non lo comprendono; infine la cosa esistente è ciò che si trova fuori di noi, per esempio Dione in persona. Di queste tre cose, due sono corpi, la voce e la cosa esistente, una è incorporea, ossia quello che è significato ed esprimibile (lektòn, il concetto); e proprio questo è vero o falso. E non è in ogni caso vero o falso, potendo essere incompleto o completo. Tra gli esprimibili completi è vero o falso quello che chiamiano proposizione, che gli stoici descrivono appunto dicendo “ciò che è vero o falso””.
La questione dell’intelligenza artificiale e, più in generale, della filosofia della mente e della filosofia analitica di indirizzo cognitivista, può essere illuminata dalla considerazione del modo in cui si pone il processo dell’interpretazione: ed anche in questa prospettiva, si può arrivare alla conclusione che la filosofia della mente non è poi una novità assoluta. Ho detto sopra che Sesto Empirico riporta la teoria degli Stoici per confutarla: infatti, fin dall’antichità, le concezioni di tendenza empirista hanno adottato uno schema profondamente diverso da quello descritto. La teoria ora esposta fa perno su tre elementi: segno: “il significante è la voce, per esempio la parola Dione”;  concetto: “il significato è ciò che viene indicato dalla voce e che noi apprendiamo come esistente in dipendenza del nostro pensiero”: apprendiamo come esistente è un’affermazione impegnativa, significa predicare l’esistenza di una cosa, in dipendenza del nostro pensiero, cioè di un atto conoscitivo del nostro intelletto, che ci mostra quello che è e quello che non è; oggetto: cioè “la cosa esistente che si trova fuori di noi”. Di questi tre elementi, è il secondo quello che ha subito le maggiori contestazioni: quando si afferma che “il problema del significato esclude la possibilità di una soluzione naturalistica” (Marino Rosso), si esprime la nostalgia di questo schema tripartito dell’interpretazione, nella sua integrità; mentre lo sforzo di ogni concezione empiristica è quello di creare un collegamento diretto fra il segno e l’oggetto, che sia capace di saltare il secondo elemento. Questo mi sembra particolarmente evidente nel Wittgenstein del Tractatus (diversa la posizione nella Ricerche), ma in realtà è un filone che percorre tutta la storia del pensiero occidentale, e che ha avuto negli ultimi secoli, in virtù dello sviluppo delle scienze cosiddette “dure” un motivo di particolare fiducia. Ma già nel Medio Evo, nella concezione del nominalismo, si afferma che l’unica conoscenza certa è la conoscenza dell’ente singolare: il concetto è un segno della cosa, e sta in luogo di essa nelle proposizioni, in cui l’analisi logica dei termini permette di evidenziare la struttura ontologica della realtà[2][2]: nella mente, che si comporta come specchio fedele della realtà, sono presenti solo elementi singoli ed individuali: la parola, come segno del concetto che perde il proprio valore astrattivo, si avvia a diventare segno (denotazione) dell’oggetto: per Guglielmo d’Ockam non si dà conoscenza intellettuale astrattiva in contrapposto alla conoscenza intuitiva, ma ogni forma di conoscenza è intuitiva; conseguentemente, egli critica il concetto di sostanza, affermando che essa non è percepibile come reale, ma può essere colta solo attraverso le sue determinazioni accidentali (in questa linea egli può configurarsi come precursore dell’atomismo logico). Venendo ai nostri tempi, nella filosofia analitica, e anche nel positivismo logico, avviene lo scavalcamento del concetto, per collegare direttamente il segno all’oggetto, nella denotazione o nell’uso (tipica l’espressione “uso linguistico”). Questo passaggio comporta la perdita della possibilità di fare certe operazioni possibili sul concetto, ma che non sono possibili sull’oggetto: dell’oggetto non si può che prendere atto (o inserirlo in un reticolo di rapporti logici, come Russel, o in uno stato di cose, come Wittgenstein); del concetto invece si può “ragionare”, lo si può confrontare con categorie. Inoltre: se il segno (la parola) è un denotato di un oggetto, lo è in un rapporto puramente convenzionale: solo all’interno di un determinato uso linguistico ha valore; se il segno (la parola) è segno di un concetto, tra questo concetto e l’oggetto il rapporto è di necessità. Tra semaion e lektòn esiste un rapporto convenzionale; tra lektòn e semainomenon esiste un rapporto necessario. Nessuna parola è tale per essenza, afferma Aristotele nel De interpretazione: ogni parola, però, nel contesto della lingua, è riferimento a un concetto che, in qualsiasi lingua venga espresso, resta sempre tale.
L’adozione di uno schema interpretativo bilaterale, esclude il problema del significato, come il problema del significato esclude la possibilità di una soluzione naturalistica: non si ha più una semantica, ma una sintassi, come sintassi è quella del calcolatore, e sintassi puramente convenzionale. Nel modo proprio di una filosofia che fa a meno del concetto, sembra quasi che la conoscenza si svolga fuori dal soggetto, nella corrispondenza degli elementi del discorso con gli elementi del reale: leggiamo invece Maritain: “è nel pensiero stesso che è attinta la realtà extramentale, nel concetto stesso che il reale è toccato e maneggiato, è lì che è appreso… l’intelletto è una vita superiore a tutto l’ordine della spazialità, che, senza uscire da se stessa si perfeziona di ciò che essa non è, di questo reale intelligibile di cui assorbe dai sensi la feconda sostanza…”. Lo schema che possiamo definire trilaterale, introduce qualcosa che noi apprendiamo come esistente, in virtù del nostro pensiero: qualcosa di esistente è anche qualcosa di necessario, e noi lo apprendiamo in virtù del nostro pensiero, perché il nostro pensiero può appropriarsene e giudicare della sua esistenza: in questo, in fondo, sta il senso.
Si ripropone il problema: se posso avere una conoscenza vera di qualcosa che è fuori di me, se posso riferirmi a qualcosa che esiste in sé, o se sono confinato nell’ambito di ciò che esiste per me: il senso esiste per me o esiste in sé? Se concetto è il riferimento del temine, ma il riferimento del concetto è l’esistenza, che ci porta al tempo stesso nel profondo di noi stessi e fuori di noi, la conoscenza è affermazione della nostra esistenza, del nostro essere in atto, e al tempo stesso affermazione dell’esistenza del “mondo esterno”, come da esistente ad esistente: di essere cioè in sintonia con l’ordine delle cose: la razionalità con cui le cose sono fatte non è diversa da quella con cui esse sono conosciute: la forma è ciò che fa di una cosa quello che essa è e al tempo stesso è ciò che la rende conoscibile. Per questo esse rei est quoddam lumen eius:  e il senso che esiste per se è lo stesso che mi si rivela. Ma se noi potessimo solo porre un intreccio di parole (o di stati discreti della mente) accanto all’intreccio delle cose, non faremmo che duplicare le cose interpretandole senza afferrarle come esistenti, senza sapere nulla della verità. Un quadro destinato ad essere vittima del tempo nel momento stesso della sua nascita: invece il concetto è atto al disopra del tempo, perché è atto e perché astrae dall’essere le cose nel tempo: postula la nostra vita al disopra del tempo, la capacità dell’intelletto di elevarsi al disopra del tempo, superando l’aspetto contingente del riferimento, che pure è l’unico dato di partenza. Per questo la conoscenza può essere al tempo stesso vera e capace di sempre ulteriore approfondimento, mentre se la conoscenza si fonda su stati discreti della mente, ogni nuovo stato esclude la storia di quelli precedenti.
L’intelletto come attività dell’anima è d’altra parte così inerente al corpo da escludere ogni visione dualistica: anima e corpo formano un solo essere, un corpo animato, ed è questo corpo, animato da questa anima, che pensa: se leggiamo Tommaso, De ente et essentia,  n. 13: … l’anima non è una forma diversa da quella per la quale in quella cosa (nel corpo, che “può essere preso anche in modo da significare una cosa che ha tal forma –materia segnata- qualunque sia quella forma, sia che da essa possa pervenire una ulteriore perfezione, sia che no”) si potevano designare le tre dimensioni; n.37: …dall’anima e dal corpo risulta un solo essere in un solo composto. E la conoscenza nasce anche dal corpo, nasce dai sensi, che sono la prima forma di apprensione, che si apre al processo astrattivo.
Se l’alternativa, nella terminologia oggi in uso, può ridursi a quella fra mente ed intelletto, la differenza che qualifica l’intelletto è l’intentio. E dietro l’intentio, come abbiamo osservato, emerge l’esistenza ed il senso. La differenza fondamentale, quella che può fondare il senso, è l’esistenza: secondo Tommaso d’Aquino prima operatio intellectus respicit quidditatem rei: la prima operazione dell’intelletto è “vedere” l’essenza: l’intelletto è capacità intuitiva e astrattiva: la prima operazione è vedere l’essenza della cosa: ma non è l’operazione decisiva, perché l’essenza intuita ancora non dice dell’esistenza della cosa e quindi della verità: secunda (operatio) respicit esse ipsius (rei).  Et quia ratio veritatis fundatur in esse et non in quidditate, ideo veritas et falsitas proprie invenitur in secunda operatione, et in signo eius quod est enuntiatio, et non in prima, vel in signo eius quod est definitio. Quasi in una sequenza tratta da vari luoghi delle opere di Tommaso, possiamo così enunciare i principi fondanti del realismo tomista;
-          Esse est actualitas omnis rei (S.Th 1 q.4 a.1)
-          Actualitas rei est  quoddam lumen eius (Comm. liber de causis, prop 6)
-          Veritas fundatur in esse rei magis quam in ipsa quidditate, sicut nomen entis ad esse imponitur (I Sent, d.19, q.5,a.1) oppure: ratio veritatis fundatur in esse et non in quidditate
-          Veritas sequitur esse rerum - Entitas rei praecedit rationem veritatis, sed cognitio est quidam veritatis effectus (De Veritate, q1,a1,c).

Nella questione quarta, “Le idee”, del De Veritate, troviamo la distinzione fra Verbum cordis (concetto), verbum quod habet imagine vocis (verbum cum sillabis cogitatum), verbum vocis (verbum oris); e leggiamo: oportet quod verbum interius sit illud quod significatur per exterius verbum (De veritate q.4 a1). Sappiamo come in Tommaso si intersecano gnoseologia, ontologia, psicologia, con l’affermazione di una certa precedenza  della gnoseologia rispetto alla psicologia: l’anima umana trova la sua perfezione nella perfezione dell’atto che le è proprio: l’atto di conoscere, secondo il principio potentia specificatur ab actu. Ma anche la logica è sottoposta a questo criterio di specificazione, e lo è nei confronti dell’ontologia: presupposto della logica è l’esistenza: infatti nel comporre il triangolo oggetto/concetto/segno, se non è data l’esistenza dell’oggetto inteso come datum, esterno al soggetto e percepibile nell’esistenza, manca addirittura uno dei termini. Il problema ha due risvolti: se viene prima l’essere o il pensiero; se viene prima il pensiero o il linguaggio: la soluzione che accogliamo, perfettamente in linea con quella della metafisica “classica”, non ha dubbi: cum verbum interius sit id quod intellectum est, nec hoc sit in nobis nisi secundum quod actu intelligimus, verbum interius semper requisit intellectum in actu suo qui est intelligere De Veritate, q.  IV a. 1, ad 1m.. Forse si potrebbe sintetizzare così: la forma del linguaggio non è forma sostanziale (essa sta all’oggetto), non è nemmeno forma logica (essa sta al concetto), ma è forma poietica, che sta al segno prodotto nel linguaggio, cioè la parola, e rispecchia (è analoga a) la forma logica a cui fa riferimento la forma sostanziale: la parola è segno del concetto (secondo la forma poietica), il concetto è segno dell’oggetto (secondo la forma logica): all’origine della forma logica e della forma poietica sta la forma sostanziale, cioè la sostanza della cosa, che deve essere in atto (cioè esistere), per poter essere intelligibile. Ne consegue che è l’essere la condizione trascendentale del conoscere, e che, mentre il conoscere non partecipa del “fare”, ne partecipa invece il linguaggio.
Può essere utile, quale ulteriore chiarimento, proporre questo schema sintetico, dedotto dalla concezione rosminiana, intesa quale moderna riassunzione della concezione classica:

Esperienza: sentimento fondamentale
Passività dei sensi
Pura percezione sensibile, affezione
Percezione sensitiva
Sentimento fondamentale
Percezione dell’identità del corpo

Attività dell’anima

Percezione intellettiva

Essere

Essere ideale
Principio di oggettività della conoscenza
Essere reale
Fondamento e principio della realtà
Essere morale
Identità di bene ed essere
Ogni cosa è buona nella misura in cui corrisponde all’essere che le compete nell’ordinamento universale
L’idea dell’essere come lume della ragione ci consente di comprendere tale ordine e di realizzarlo

Anche se tale schema paga un certo tributo alla visione platonico-agostiniana delle idee innate, introducendo l’essere ideale, resta fermo che fondamento della conoscenza, della possibilità di conoscere è l’essere, sia reale che ideale. Dal sentimento fondamentale, che è l’esperienza dell’essere di noi stessi, origina la posizione dell’essere: non cogito, ergo sum, ma io sono, quindi l’essere è.
Sembra a questo punto fondamentale sottolineare l’ importanza del concetto di “esperienza” quale fondamento del pensiero (della metafisica), come fa larga parte della metafisica classica (per ultimo –in ordine di tempo- ricorderei Enrico Berti, Avviamento alla metafisica): nell’esperienza è compreso il trascendente e l’immanente (nel senso in cui li intende Husserl): nell’esperienza il mondo dell’esistenza e quello della conoscenza diventano omogenei. Qui il vecchio problema se posso avere una conoscenza vera di qualcosa che è fuori di me, se posso riferirmi a qualcosa che esiste in sé, o se sono confinato nell’ambito di ciò che esiste per me, sembra quasi dissolversi nel grembo dell’esperienza.

Franco Biagioni


Due ultime notazioni su verità e realtà: abbiamo capito che la verità non sono le cose e che la verità non è nemmeno un criterio di giudizio che possa risiedere dentro di noi. La prima notazione la affidiamo a G. Cottier, Definizione e tipologia dell’ateismo, pag. 34: “In questo senso dobbiamo dar ragione a Cornelio Fabro quando vede nel cogito cartesiano, con la sua principale implicazione, l’inversione fra certezza e verità, che fa della prima il fondamento della seconda, la matrice dell’ateismo moderno”:.
L’altra a Giovanni Casoli, in Nuova Umanità n. 102 (1995/6) pag. 36: “La verità significa corrispondenza del pensiero e della parola alla cosa, corrispondenza la cui fonte all’origine è in Dio, suprema verità. Realtà è una parola creata dal grande teologo Duns Scoto nel tardo medio evo, per significare  l’essere individuale, poi passa a significare l’esistenza concreta delle cose. Nel linguaggio comune slitta poco a poco a significare una cosa che esiste effettivamente, poi ciò che esiste oggettivamente. Anche la parola verità, allontanandosi dalle sue nobili origini, prima platonico aristoteliche, poi cristiane, che orientano ogni verità particolare all’universale Verità, si temporalizza senza incarnarsi, cioè si secolarizza, nella cultura rinascimentale: Leonardo: la verità è figlia del tempo. Ma anche la realtà era già diventata figlia del tempo, attraverso l’esperienza materialistica del mondo secolarizzato. A questo punto l’identificazione fra realtà e verità diventa possibile, e avviene nel Principe di Machiavelli: la verità effettuale delle cose: verità di fatto, verità reale concepita come l’unica”.
Alla luce di queste considerazioni, aggiungerei un’ultima osservazione sul principio della fallacia naturalistica: fermo restando che si ritiene inaccettabile detto principio nella sua espressione assoluta, per cui viene tolto valore cogente ad ogni proposizione etica, in quanto non fondabile su giudizi aletici, e in quanto solo le verità aletiche potrebbero essere argomentabili e quindi ragionevoli, invece “l’istanza minima del non cognotivismo è –e deve essere- universalmente accolta.  Essa consiste nella confutazione della possibilità di derivare il valore di un fatto dal suo semplice prodursi, di derivare cioè il giudizio di valore concernente un accadimento dal nudo giudizio di esistenza concernente quell’accadimento” (Lombardi Vallauri, Corso di Filosofia del Diritto, pag . 376). Dove il nudo giudizio di esistenza si situa sul piano della realtà, mentre il giudizio aletico si pone sul piano della verità.






[1][1]“ Ora, i suoni che sono nella voce sono simboli delle affezioni che sono nell’anima ed i segni scritti lo sono dei suoni che sono nella voce” (De Interpretatione, 16 a, 3-5)
[2][2] Nel concettualismo la conoscenza parte dal concetto, che si trova nella mente ed è confuso, ed approda alla cosa singolare, che appare di conoscenza chiara e sicura; per il realismo, la conoscenza della cosa singolare è il punto di partenza, da cui, attraverso l’astrazione, si arriva a conoscenze universali. E allora si scopre che il kantismo è immanente in ogni empirismo: la conoscenza che si ferma alle cose singolari  prima o poi richiede che si ponga nell’intelletto una legge che le ordini alla conoscenza. Quanti collegamenti fra empirismo nominalista e idealismo ideosofico!

Appunti di Franco Biagioni




APPUNTI
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In una lettera all’amico Solovine Einstein scrive: “Ciò che ci dovremmo aspettare a priori è un mondo caotico
del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe o dovrebbe aspettare che il mondo sia governato da leggi
soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe un ordine simile a
un dizionario, ma il tipo d’ordine creato dalla gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli
assiomi della teoria sono imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado di
ordine del mondo oggettivo e cioè un qualcosa che a priori non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È
questo il miracolo che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze.”
58
L’errore di fondo del pensiero debole (e penso soprattutto a Vattimo) è di credere che la Verità non sia un
concetto filosofico, ma un concetto storico-politico per forza di cose relativo, che, presentandolo come
unico e assoluto serve per fondare la supremazia storico-politica di una determinata cultura che si ritiene
vera in questo senso, e che, in quanto cultura, non può essere assoluta, ma, semmai, paradigmatica. Invece
chi crede nella verità crede nella sua esistenza che precede pensiero e cultura e nella potenza del pensiero
di raggiungerla e di fondare una cultura che in essa si rispecchi.
57
Nessuno percepisce di conoscere se non per il fatto che conosce qualcosa, poiché è più naturale conoscere
qualcosa che conoscere il fatto che si conosce (De Veritate 10,8): bella affermazione di realismo!
56
La Verità: anche un albero (di Natale) di plastica è un attentato alla verità: è un falso, non è un simbolo.
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Il mistero dei numeri
- i numeri sono la rappresentazione delle cose: uno è l’ente, gli altri numeri la somma o le relazioni fra enti
- i numeri sono idee, qualcosa di reale o nella nostra mente o negli universali, e diventano simboli, come
attributi degli enti
- i numeri sono i concetti della molteplicità e dell’unità
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Diritti, principi, interessi, desideri, bisogni
1) Diritto: Sicuramente la parola di cui oggi più si è perso il senso è “diritto”: si è perso il senso perché se ne
è persa la cognizione del fondamento, anzi se ne teorizza la mancanza di fondamento. 2) principi: se il
disaccordo è su questioni in cui sono in gioco principi e non interessi: la loro differenza risulta fondamentale:
gli interessi hanno un prezzo, possono essere contrattati e ammettono punti medi nel corso del negoziato… i
principi al contrario hanno una dignità e non un prezzo, e di per sé non ammettono punto medio (Possenti)
quindi i principi non sono negoziabili: non solo esistono principi non negoziabili, ma tutti i principi sono non
negoziabili. 3) Il bisogno trova soddisfazione in un bene finito, il desiderio invece ha una estensione infinita,
parla di qualcosa che in qualche modo è irraggiungibile, e come tale ha una capacità di evocazione
infinitamente superiore rispetto al bisogno. Il trucco del capitalismo tecno-nichilista è quello di oggettivare
in continuazione il desiderio, mettendogli davanti un bene o una singola esperienza e donandogli così
l’illusione dell’appagamento. La sfida è riaprire l’orizzonte del desiderio, liberandolo dalle strettoie
materialiste in cui viene attualmente soffocato (Magatti). Diritto, interesse, bisogno, desiderio: si deve
ristabilire all’interno dell’ordinamento una gerarchia fra questi termini: un desiderio non è un bisogno,
anche se può essere più nobile di un bisogno, non ha rilevanza giuridica; solo alcune categorie arrivano alla
sfera dell’interesse, per cui non tutti i bisogni sono interessi; poi solo alcuni interessi sono meritevoli di
tutela giuridica, sono cioè diritti soggettivi. Poi ci sarebbe un lungo discorso sul diritto oggettivo, cioè sulla
legge, e sul suo fondamento, cioè sui principi.
53
Democrazia statistica (Dworkin)
52
Il marxismo ha aperto la stalla, poi i buoi son scappati da sé: evoluzionismo, scientismo,
nihilismo,relativismo si son potuti affermare perché la porta della stalla era stata aperta dalla filosofia del
sospetto, dalla trascendentalizzazione della critica della società borghese: affermando che la Verità è il
puntello della società borghese, si rende la verità non più degna di fede; non più degna di essere cercata e
non più capace di farsi conoscere: si instaura il regime del relativismo (che alligna bene nel substrato della
democrazia maggioritaria; nella democrazia maggioritaria la verità non ha voce, si realizza la sostituzione
della maggioranza numerica alla verità, della somma dei cittadini al popolo: sembra addirittura improprio
chiamare democrazia una forma in cui il popolo è rappresentato da una maggioranza: o si riduce lo stato a
una cosa minimale, pura amministrazione, o si fa violenza alla minoranza; nessuno poi può affermare che la
maggioranza rappresenti la verità: la verità non ha cittadinanza nello stato dei cittadini, perché la verità è
del popolo, e un popolo è tale in quanto ha una verità condivisa: democrazia in senso proprio sarebbe
quella in cui si afferma la verità del popolo, in cui un popolo governa affermando la sua verità –diversa da
quella de tiranno o dell’aristocratico-; ma chi può dire che la verità di un popolo è meglio rappresentata dal
suffragio maggioritario che da un monarca espresso dalla cultura di quel popolo? Nei nostri sistemi
democratici elettorali in cui sembra che sia esclusa la scelta di una filosofia, tutte le filosofie vengono messe
sullo stesso piano, e così facendo si fa la scelta per una precisa filosofia: il relativismo).
51
I problemi ultimi: il rapporto fra tempo e eterno; libertà dell’uomo e onniscienza di Dio; l’uomo che è
costretto ad essere libero: anche una non scelta, come quella (propria dei sistemi democratici moderni) di
non scegliere nessuna filosofia, che diventa scelta per il relativismo, è una scelta.
50
La filosofia evoluzionista deve rifiutare una delle verità più evidenti e dimostrate in modo inconfutabile
dalla metafisica: il divenire non si giustifica da solo; chi sostiene la filosofia evoluzionista e tutti suoi
corollari, tutte le ideologie che ne derivano (nihilismo, materialismo, animalismo, ecologismo, scienze
umane, ecc. ) non può non essere in mala fede, perché sa che è stato dimostrato che tutte queste cose non
sono vere. E le verità della metafisica si ritrovano nel realismo dell’agricoltura, della caccia, dell’artigianato,
della natura.
49
Ma anche quando la musica è triste, dolce è cantarla. Dalla poesia “Teatro delle selve” di Andrea Temporelli
su Il Sole di Domenica 21 Luglio 2013 pag. 29
48
Jus sequitur vitam, ci insegnano gli antichi
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Bisogna considerare che la dottrina sociale della Chiesa, in quanto in gran parte di diritto naturale, è di per
sé sufficientemente giustificata dalla ragione umana; in quanto però viene proposta dalla Chiesa bisogna
dire che, per essere autorevole, deve avere alle spalle una Chiesa che prega, che celebra la liturgia, che
crede, che spera e che ama; e che quindi è necessario che ciascun fedele preghi, pratichi la liturgia, creda,
speri e ami; e che tanto la Chiesa, quanto ciascun fedele siano anche missionari in questo mondo.
46
“nomen nature hoc modo sumpte uidetur significare essentiam rei secundum quod habet ordinem ad
propriam operationem rei, cum nulla res propria operatione destituatur". Boezio. Il corretto concetto di
natura non significa “ciò che esiste", bensì ciò che è "secondo il progetto di una cosa", ossia il principio
insito in ogni cosa che ne regola lo sviluppo. Aristotele chiamava questo principio "entelechia". E questo
non è conoscibile dall’evoluzionismo.
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Ricercando un’armonia fra mondo, pensiero e linguaggio che rispondesse agli interrogativi
wittgenesteiniani si è vista una via percorribile nella teoria dell’esistenza immateriale intenzionale delle
forme di Tommaso. Secondo tale prospettiva ciò che rende un pensiero di X un pensiero di X è la forma di X,
ossia ciò che rende X tale. La forma di X si trova perciò sia nell’oggetto reale (X), sia nel pensiero di (X). La
forma di X esiste quindi , in modi diversi, sia individuata e materializzata in X, sia immateriale e universale
nella mente di colui che ha il pensiero di X. Nel primo caso si parla di esse naturale, nel secondo di esse
intentionale. (Riccardo Saccenti)
Il rapporto fra pensiero e linguaggio si intreccia in tal modo con quello fra pensiero e realtà così che:
«Alcune parole si comparano al concetto come segni, mentre le cose come ciò di cui i concetti sono
similitudini». Il rapporto fra oggetti e concetti può essere di duplice natura. Esso può darsi come rapporto
della misura (res) con il misurato (intellectus), così che il concetto è vero quando si conforma alla cosa,
mentre la verità di quest’ultima non dipende dal rapporto con il concetto. Oppure può essere di segno
opposto, cioè rapporto fra misurato (res) e misura (intellectus). È quanto accade con l’attività dell’intelletto
pratico, che produce le opere d’arte le quali attingono alla ratio dell’arte. Il criterio di verità del concetto
sarà così quello della conformità non all’oggetto materiale (res),quanto piuttosto alla sua forma. In tal
modo si conosce la verità o falsità di un concetto. (Riccardo Saccenti)
44
Idealismo: “se lo posso pensare, esiste” - ontologismo: “posso pensare un essere perfetto, fra le sue
perfezioni non può non esserci l'esistenza, quindi Dio esiste”. – realismo: “se esiste lo posso pensare”: esse
rei est quoddam lumen eius.
43
Il consumo è stato l’elemento chiave della dinamica economica negli ultimi tre decenni. Ciò che lei dice può
essere compreso solamente se si interpreta la crisi del sistema capitalistico come crisi della coscienza e
dunque della libertà. Avviene quando l’idea di libertà che informa i comportamenti individuali e sociali è
quella di una libertà senza limiti, per la quale le cose sono indefinitamente plasmabili dalla tecnica. «Crisi» -
economica perché spirituale - vuol dire che quella stagione ha dato quello che doveva dare….
…Se di quella crisi saremo capaci di dare una interpretazione storica, se cioè capiremo che cosa è realmente
avvenuto. La stagione che si conclude sotto i nostri occhi, segnata da quella che chiamo «esperienza di
massa della libertà», ha significato per il 90 per cento della popolazione dell’occidente l’accesso al
benessere materiale, alla democrazia politica e a un pluralismo culturale mai visti nella storia. Ma l’uomo,
ecco il punto, si porta sempre dentro grandi ambivalenze. Così, la pretesa di un io che, grazie alla tecnica, si
pensa onnipotente ha rovinato tutto o quasi. Abbiamo pensato di poter escludere la domanda di senso
dell’uomo, culminante nella religione, prima dalla sfera individuale, e poi dalla sfera pubblica, provocando
la reazione uguale e contraria dei fondamentalismi che si sono manifestati in questi 20-30 anni. L’esito
paradossale è che con la caduta del senso le società mature e benestanti non hanno più saputo cosa fare di
quella libertà che hanno conquistato in mezzo secolo di storia….
Il bisogno trova soddisfazione in un bene finito, il desiderio invece ha una estensione infinita, parla di
qualcosa che in qualche modo è irraggiungibile, e come tale ha una capacità di evocazione infinitamente
superiore rispetto al bisogno. Il trucco del capitalismo tecno-nichilista è quello di oggettivare in
continuazione il desiderio, mettendogli davanti un bene o una singola esperienza e donandogli così
l’illusione dell’appagamento. La sfida è riaprire l’orizzonte del desiderio, liberandolo dalle strettoie
materialiste in cui viene attualmente soffocato.
(Mauro Magatti)
42
Fase Contro Effetti
Prima fase: statalizzazione –
nazionalizzazione
Autonomie locali
Principio di sussidiarietà
Corpi intermedi
Famiglia
Perdita delle capacità di
organizzazione
Sistema dello spreco
Sistema della corruzione
Sistema assistenzialistico
Secondafase:
europeizzazione –
immigrazione
Identità nazionale
Tradizione
Tradizione cristiana
Perdita di identità
Perdita di unità del popolo
Perdita della possibilità di
decisioni economiche
autonome
Terza fase:
globalizzazione
Sistema economico della
piccola impresa
Crisi economica
Sradicamento
Omologazione
Forse la conclusione da trarre è che non è più possibile essere italiani in un mondo globalizzato; e poi è da
chiedersi se sarà ancora possibile essere cristiani e in che modo (collegamenti con la teoria secondo cui
l’arretratezza dell’Italia sarebbe collegata al fatto che non c’è stata la riforma protestante?). Per mezzo
dell'economia si ricattano tutti quelli che non seguono il politicamente corretto, ovvero il modello
scandinavo, e l’economia ti strizza come una garrota, fino a soffocare chi non la pensa come loro. Tutto
questo forse è sempre esistito, ma a livelli più localizzati e quindi con modalità che lasciavano spazio alle
tipicità. Ora il mondo globale degli scambi economici e speculativi cerca di annullare le nazionalità e le
particolarità, imponendo un modello economico e tagliando i viveri a chi a quello non si adegua, e facendo
in modo che questo modello economico diventi anche un modo di produrre, di lavorare, di vivere a tutti i
livelli, annullando le culture locali per imporre una cultura globale. Naturalista, materialista, statalista,
democraticista, buonista, ambientalista, animalista in cui l'uomo deve essere annullato. Pian piano si avvera
il sogno di Nietsche, Marx e Freud di annullare l'uomo: finora le resistenze sono state le culture nazionali e
le tradizioni locali: ma ora si tagliano tutte le radici.
41
In un mondo globalizzato bisogna difendere con più energia le identità e le tradizioni, sennò finisce tutto in
una grande melassa insignificante e disumana.
40
Che chi ha trovato la falce abbia il compito di raccogliere il grano (Peguy)
39
San Bonaventura: l’itinerario della mente in Dio: la visione del Serafino alato in forma di crocifisso: le sei ali
del alfa e omega; come per mezzo di uno specchio/come dentro uno specchio:il numero sei: i giorni della
creazione, i gradini del trono di Salomone, le sei potenze dell’anima: senso, immaginazione, ragione,
intelletto, intelligenza, sinderesi). Le cose esteriori: sensibilità (conoscenza di Dio nelle sue orme nel mondo
sensibile…); lo spirito, cioè la mente in sé (per mezzo della sua immagine impressa nelle potenze naturali
dell’anima/ nella sua immagine rinnovata dai doni della grazia …); la mente che si eleva spiritualmente
sopra di sé (conoscenza dell’unità divina per mezzo dell’essere, suo nome principale/conoscenza della
beatissima trinità per mezzo del suo nome che è il bene)
38
L’educazione appartiene alla Chiesa in maniera sopraeminente per due titoli di ordine soprannaturale:
l’espressa missione ricevuta da Gesù: andate e ammaestrate tutte le genti; e la maternità soprannaturale:
Dio Padre, la Chiesa madre. La famiglia ha direttamente dal Creatore la missione e quindi il diritto di
educare la prole: diritto inalienabile perché strettamente congiunto con lo stesso obbligo, diritto anteriore a
qualsiasi diritto della società civile o dello stato, e quindi inviolabile da ogni potestà terrena. L’intervento
dello stato nell’educazione non è primario ma sussidiario (Pio XI: Divini illius magistri (1929)
sull’educazione).
37
L’egualitarismo - e considero questa definizione come capitale - rappresenta la caricatura e la corruzione
dell’armonia e dell’unità sociali. Ogni seria critica dell’egualitarismo implica dunque uno studio preciso delle
condizioni di quell’armonia e di quell’unità. Non si può definire una malattia se non in funzione della salute
(Gustave Thibon, «Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale», Effedieffe
edizioni, 1998 (capitolo XV).
36
Punto uno: le cristianità, intese come "una forma sociale (culturale, civile, umana, temporale, storica), che
risulta da una intersezione positiva fra Vangelo e cultura" (Vittorio Possenti, pag. 226) sono esistite nella
storia; e il loro ritorno non è da considerare impossibile. Sicuramente sarà un ritorno, non una ripetizione,
perché non si potrà certo ricreare la cristianità medievale, o quella barocca, o altre, ciascuna con i suoi
precipui caratteri, ma una diversa cristianità confacente a un diverso periodo storico. Anche perché "una
fede trascendente non può identificarsi con alcuna civiltà" (Possenti, pag. 240). Secondo Maritain "La
parola cristianità designa un certo regime comune temporale le cui strutture recano, a gradi e secondo modi
del resto molto variabili, l'impronta della concezione cristiana della vita. C'è una sola verità religiosa, c'è una
sola Chiesa cattolica, possono aversi alcune civiltà cristiane, alcune cristianità diverse" (Maritain,
Umanesimo Integrale, pag 171). Aggiungo: il fatto che sia possibile impegna il cristiano che opera nella vita
civile a cercarla: la forma di carità a lui propria sarà l'offerta di questa prospettiva agli uomini, nella
considerazione che, in una società ben orientata, sia più facile salvarsi che in una società in cui la morale
cristiana viene ignorata o volutamente disapplicata.
Punto due: la cristianità non è stata e non sarà la società cristiana perfetta: non si può dimenticare la
fragilità umana, e il peccato originale, per cui la città celeste, nella sua perfezione, può essere l'immagine
che ispira la città terrena, ma questa non raggiungerà mai la piena realizzazione di quella, perché la
Gerusalemme celeste scenderà dal cielo e non salirà dalla terra: il perfettismo è l'errore del razionalismo
illuminista (e non solo illuminista), da cui sono contagiate purtroppo anche larghe frange di cristiani, per un
motivo o per un altro.
Punto tre: la cristianità non sarà ovviamente la società in cui tutti saranno cristiani, ma sarà ispirata dal
cristianesimo e vi potranno convivere tutti gli uomini di buona volontà, in nome della comune natura e
della ricerca del bene comune. Anche perché la verità è una sola. Ciò non toglie che ogni cristiano ha il
dovere di annunciare il Vangelo e di cercare la conversione dei non credenti, proprio per loro amore e per
amore della loro salvezza.
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Come tutte le idee, anche quella di una società cristianamente ispirata, rischia di cadere negli eccessi
opposti: l'eccesso di coloro che pretendono di ricostruire una società costantiniana, che certo non è
storicamente possibile; l'idea di coloro che ritengono il mondo destinato alla perdizione e cercano la loro
salvezza al difuori da esso. Entrambi questi eccessi portano alla fine al disimpegno e a trascurare la vita
civile: o per eccesso di ottimismo o per eccesso di pessimismo. Una terza posizione è quella che definirei
pelagiana, propria di un mondo laico e scientista, secondo cui l'uomo sarebbe, senza l'aiuto di alcuna
religione, capace di realizzare la buona società; ma anche di questa idea è facile constatare la debolezza
nelle realizzazioni storiche che ne abbiamo sotto gli occhi. Il suo grave limite sta nel non considerare la
religione rilevante per la vita civile, religione che invece è, come la ragione e tutto il resto, costitutiva della
persona umana.
34
Indagare il rapporto fra creazione e realismo; il realismo discende dalla considerazione della creatura, che è
data; è prima che noi la consideriamo.
33
l'uomo e la sua datità, creaturalità; il mistero/miracolo di una creatura creata libera: il pessimismo (San
Francesco) e l'ottimismo (Pico della Mirandola): "in mano al suo consiglio".
32
Oggi, nelle democrazie moderne, il diritto non si fonda più sulla natura ma sulla politica
31
È noto perfino in biologia: condizioni troppo favorevoli non sono vantaggiose per gli esseri viventi. E oggi è
nella vita della società occidentale che il benessere ha cominciato a rivelare il suo volto funesto. (Aleksandr
Isaevič Solženitsyn).
30
Obbedienza ai segni del reale; questa è la prima regola della morale (Charles Peguy)
29
Vedi Coscienza n. 5/2011 a pag 40 sg, articolo di una certa Marta Margotti dell’Università di Torino: la resa!
Così “come le forme di organizzazione delle comunità religiose e le relazioni fra istituzioni politiche e
istituzioni religiose sono sottoposte a continue trasformazioni, con il passare del tempo variano anche i
modi di percepire il legame col trascendente da parte dei singoli e dei gruppi, tanto da modificare i
contenuti stessi della fede, quasi sempre presentati ai fedeli e creduti dai fedeli come immutabili”. Il
cristianesimo cambia per la crisi del principio gerarchico e per le istanze umanitarie, per la circolazione delle
istanze democratiche; per la soggettività e il primato dell’individuo, il pluralismo delle culture, per gli effetti
della globalizzazione, ecc: “viene messa in questione la sostenibilità teologica del cristianesimo”; cosa
rimane della verità nelle società pluraliste? > non soltanto una chiesa in cambiamento, ma una fede in
cambiamento. “Oggi si chiede, più che una cittadinanza responsabile, una cittadinanza interrogante;
sollecitare la capacità di critica verso il potere che schiaccia l’umanità, più che attardarsi nella definizione di
valori non negoziabili. Non è importante la meta, ma il cammino”… di fronte a questo, meno male che Papa
Benedetto resiste, ed è ancora capace di mettere in guardia contro la distruzione del cristianesimo!
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l’Occidente cristiano (scristianizzato), nel quale operano due diverse opzioni intellettuali: da una parte,
l’opzione del realismo metafisico (che parte da Vico e giunge fino a Bergson, passando da Rosmini e
Newman), dall’altra quella dell’immanentismo (che ha inizio col razionalismo cartesiano e si conclude con
l’idealismo di Hegel e di Gentile). Il realismo metafisico è un pensiero sostanziato di logica aletica: esso
infatti àncora la verità alla trascendenza gnoseologica e ne individua la fonte nella Trascendenza
ontologica, vedendo pertanto nella realtà creata una razionalità che ha origine trascendente (l’idea divina)
e per questo è norma per la verità dell’agire umano (la “legge naturale”); questa opzione, minoritaria ai
nostri giorni, si riconosce nella tradizione classica e medioevale ma è anche fiera della propria capacità di
creare nuove prospettive, ivi compreso l’ideale politico o “utopia” (Tommaso Campanella, Thomas More) e
l’ermeneutica storica come “scienza nuova” (Giambattista Vico). Invece l’immanentismo (tanto nella
versione iniziale, che era stata quella razionalistica, che nella versione finale, che fu quella idealistica) è il
pensiero della rivoluzione, della rottura con la tradizione, dell’abolizione di ogni fondamento oggettivo per
l’etica, della pretesa di dare origine a una nuova umanità e a un nuovo mondo, come opera delle mani
dell’uomo. Ogni aspetto teoretico e pratico dell’immanentismo – la secolarizzazione, l’ateismo, il relativismo
o il formalismo morale, il nichilismo, la deriva totalitaria - ha la sua giustificazione ultima nell’opzione
gnoseologica, in quella che Carlos Cardona chiamava l’opzione intellettuale; per contro, ogni critica di quelle
forme di immanentismo che prima citavo non può avere successo se non giunge a criticare il nucleo
gnoseologico dell’opzione (mons Antonio Livi)
27
La domanda di Paolo Nepi: la democrazia è capace di garantire i valori su cui è stata fondata?
26
La partenza della modernità da Cartesio; sì, però ci sono delle permanenze che risalgono molto più indietro
e che sono linee di pensiero che si sono continuate in aspetti del pensiero moderno: Epicuro e il caso: il
mondo nato dal caso, non si è realizzato nell’evoluzionismo moderno? e il suo modo di vedere gli dei del
tutto disinteressati da quel che avviene nel mondo, non è l’atteggiamento moderno di confinare la religione
in una credenza che non rileva nel mondo esterno al soggetto, in un fatto puramente privato? E poi il
nominalismo, l’empirismo di Ockham, non si perpetua nel moderno empirismo? Come fai, in una
concezione nominalistica a trovare posto al concetto di partecipazione? Dio resta irraggiunto e
irraggiungibile, alla fine non ha un ruolo nell’andamento delle cose del mondo e dell’uomo. Cartesio sposta
la centralità dalla natura all’uomo, dall’oggettivo al soggettivo, dall’essere del mondo esterno all’essere del
pensiero; e apre la strada alla rivoluzione tecnologica che si basa sulla trasformazione del mondo da parte
dell’uomo, ma se non ci fosse stato Ockam, sarebbe stato possibile Cartesio? E’ possibile Cartesio in un
mondo in cui vige il concetto di partecipazione?
25
Don Pineschi: il rischio concreto della scristianizzazione dell’Europa: come è successo in altri luoghi (il
Medio Oriente, la Palestina, l’Anatolia) dove ogni traccia del passaggio del Cristianesimo è stata cancellata
dalla cultura e anche dal paesaggio: la spianata del Tempio di Gerusalemme, su cui sorgono due moschee: il
pianto di Gesù su Gerusalemme. Il pianto della Madonna sull’Europa a Medjugorije.
24
Giorgio Petracchi: 1) la riforma della chiesa come ragione del risorgimento: il modernismo; sotteso c’è il
tema del protestantesimo: la teoria secondo cui l’arretratezza dell’Italia sarebbe collegata al fatto che non
c’è stata la riforma protestante: il modernismo, il giansenismo (vedi punto 3). 2) l’accento posto sul
romanticismo, che Alleanza Cattolica non valuta, e che fa del risorgimento un fenomeno non direttamente
collegato all’illuminismo, ma lo avvicina all’idea di nazione, di lingua, di ideali condivisi da un popolo, contro
la concezione illuminista di una razionalità imposta dall’alto; poi il collegamento al romanticismo rivaluta il
rapporto col medio evo, in una ricerca di radice popolare e religiosa. Manzoni (1821: una di lingua di patria
d’altare), Foscolo (Jacopo Ortis). 3) il riferimento a Pistoia e allo scisma ricciano, visto come exemplum del
movimento italiano: secondo la Valbonesi questo non regge… E forse ha ragione.
23
Che importanza può avere la debolezza, l’imperfezione, la corruzione della Chiesa di fronte al messaggio
della “vita divina”, di cui è l’unica depositaria; e fa impressione come anche i pastori più discutibili sul piano
personale siano stati nel complesso fedeli al messaggio di cui erano depositari. Veramente Dio si serve della
nostra debolezza per trarne cose grandi. Vedi la novella del Boccaccio su “Giannotto da Civignì”
22
Oggi, la malattia che più colpisce la Chiesa è il buonismo; il buonismo, come tutti gli ismi, è la
degenerazione di una cosa buona.
21
Che cosa fu per me Papa Giovanni Paolo II? Il suo avvento a pontificato fu la percezione viva del soffio dello
Spirito su una Chiesa e un mondo assopiti e confusi, feriti da eventi traumatici come la gaia rivoluzione del
’68 e le follie del post –concilio, che avevano messo in ombra tutto quanto sapeva di soprannaturale. La sua
esortazione: non abbiate paura!, il suo rimettere al centro Cristo, il suo ricordare all’uomo la dignità di figlio
di Dio, destinato alla Vita, e anche la sua capacità di rendere la Fede e la Chiesa significative per il mondo,
hanno rigenerato la Speranza, hanno cambiato l’orizzonte.
20
Dal solstizio d'inverno all'equinozio di Primavera; dai primi sintomi di risveglio, all'esplosione della natura:
dal Natale alla Pasqua ... quanti significati, che si stratificano l'uno sull'altro: come si fa a dire che i tempi
sono tutti uguali? forse perché il lavoro ci appiattisce su giornate una uguale all'altra. Ma guardiamo il
lavoro più naturale, quello dell'agricoltore, che è scandito dai tempi e dai tempi dipende: l'agricoltore non
può essere indifferente alla successione dei tempi! è la natura che lo plasma, che ne forgia il pensiero. E, su
un piano più elevato, i tempi non possono essere tutti uguali, perché la Festa è un tempo speciale, in se
stesso diverso dal tempo ordinario; e ti sollecita ad elevarti al disopra dell'ordinario: anche col rischio, se
si pensa veramente al significato della Pasqua cristiana, delle vertigini... Ma corriamolo questo rischio, per
essere uomini fino in fondo! non tiriamoci indietro!
19
"Mi colpiva Del Noce perché mentre i filosofi cattolici del tempo avevano tutti il problema dell’esistenza di
Dio, o del fondamento, Del Noce del fondamento e dell’esistenza di Dio si occupava pochissimo: il suo
problema era diverso: l’uomo è un essere che basta a se stesso o è un essere che è bisognoso di redenzione?
perché se l’uomo basta a se stesso, che Dio esista non esista non ha un’importanza decisiva; invece se
l’uomo è bisognoso di Dio, l’ipotesi che Dio esista è l’ipotesi più interessante che ci sia: e non so se è vera o
no ma vale la pena di approfondirla. E se ho qualche segno che mi fa pensare che forse Dio c’è, allora potrei
scommettere la mia vita sull’ipotesi che questo Dio ci sia" (Rocco Buttiglione)
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Tutte le cose hanno una natura – questa natura ha una storia (gb vico)
La Verità non cambia, cambia la nostra percezione di essa (cantoni)
Ex relatione; ex ratione; ex experientia.
Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu: la storia è il luogo dell’esperienza.
17
Che significato può avere per noi una disastro come quello del terremoto in Giappone del 10 marzo?
Soprattutto ci dice che tutto quello che l’uomo costruisce sulla terra è soggetto a corruzione, è provvisorio
e corruttibile. L’uomo che ha una dimensione spirituale che va oltre la corruzione, ha bisogno di una cura,
di un conforto che sia commisurato a questa dimensione spirituale; un conforto che rimanesse nella
dimensione corruttibile non potrebbe appagarlo.
16
Viene proprio lo sgomento! Sembra che oggi le uniche mete da raggiungere riguardino i matrimoni gay e le
relative adozioni, i diritti degli animali, i diritti degli immigrati; tutto il resto è buio… è proprio la corsa verso
l’autodistruzione; questa civiltà sta implodendo e accadrà qualcosa di grave: siamo come alla fine
dell’Impero Romano: i barbari, la decadenza dei costumi, il rilassamento morale e intellettuale: ci sarà un
altro Boezio? Un altro Cassiodoro? Un altro Benedetto?
15
Un’etica della persona e delle virtù in vista di una ricompensa ultraterrena; un’etica esistenzialista del
rispetto dell’altro, come condizione di possibilità di convivenza. Poi forse i comportamenti potranno anche
sovrapporsi. Vedi De Veritate q.28. Ma la differenza è grande. “ogni volta che avrete fatto questo al più
piccolo dei vostri fratelli, l’avrete fatto a me”: dietro il volto del prossimo c’è il volto di Dio, c’è la Verità di
Dio, non le verità del mondo. Trascendenza e immanenza. La sola differenza è fra trascendenza e
immanenza.
14
L’amore e il pensiero: la concezioni di Dio: amor che move il sole e l’altre stelle oppure noesis noeseos
13
Se son rose fioriranno: si dice delle situazioni di cui si aspetta l’evoluzione, per vedere se corrispondono o
meno alle aspettative che in esse sono riposte. Ma questo detto ha anche una valenza profonda: è indice di
una mentalità serena e fiduciosa, che presuppone l’esistenza di un ordine nella realtà, secondo il quale ogni
cosa tende naturalmente a passare dalla propria potenzialità alla piena realizzazione di se stessa. Infatti,
come il fiore è la piena realizzazione della rosa, ogni ente ha in sé le proprie possibilità, e solo quelle, per
cui ha già in sé il cammino della propria perfezione.
12
L’idea di una possibilità indefinita, che, come vedremo, è sottesa alla teoria evoluzionistica, è segno della
perdita di una visione interale, e si manifesta in un’attitudine del pensiero che privilegia il tema del primato
della possibilità: a questa si oppone l’adagio scolastico “potentia specificatur ab actu”: in una retta visione,
il possibile “non ha senso se non è possibilità di qualche cosa”. Così siamo richiamati a meditare che 11
11
“Principio e fondamento/ di tutto ciò che è/ o che può essere/ è Dio altissimo” (Mons Mario Leporatti, Il
Messia, pag. ). La precedenza della forma rispetto al vivente limita il campo delle possibilità del processo
evolutivo: l’evoluzione non è un processo governato dal caso, ma da regole poste alla base della creazione,
per cui sono possibili solo quegli eventi che significano la realizzazione di un cammino dalla potenza all’atto.
Viene così garantita la razionalità e l’intelligibilità dell’universo. Nel caso della teoria sintetica
dell’evoluzione, ogni forma è possibile, nel bizzarro incrociarsi dei fattori biologici; salvo l’eliminazione per
selezione di quelle forme che si rivelano poco vantaggiose. Non c’è la fiducia nella possibilità di una
comprensione interale dell’universo e quindi della possibilità di un senso: si arriva al nihilismo.
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Forse quello che può sintetizzare meglio il pensiero di Del Noce è questo: date certe premesse filosofiche,
certe scelte di fondo che possono sembrare solo teoriche, ne derivano, per una stringente necessità logica
che non ammette deviazioni, conseguenze sul piano filosofico, morale, pratico: ne derivano le scelte morali
e politiche, il nostro modo di vivere.
9
Quello che veramente dà il “sapore” alla nostra esistenza sono i rapporti durevoli, non le gioie ed i piaceri
occasionali, non ripetibili, che passano e lasciano poco dietro di sé.
8
Ora per difendere i crocefissi nelle scuole si parla di tradizione, non si ha il coraggio di usare la parola
religione: è la nostra religione: la nostra religione fa parte della ricchezza della nostra identità, come la
tradizione e tutto il resto.
7
Una filosofia nihilista ed esistenzialista come quella del Carifi: l’oblio dell’essere, la ricerca di una
costruzione dell’uomo a frammenti, che non trova nessun punto di partenza; il tema del silenzio: il silenzio
è il segno della mancanza dell’essere: dal silenzio dovrebbe emergere un essere di cui si sente la mancanza,
ma che non può emergere, perché non è previsto come oggetto di conoscenza. Manca l’intuizione, manca il
realismo. Forse l’antidoto sarebbe l’agricoltura: l’agricoltura prevede qualcosa di reale con cui hai a che
fare, che non è posto da te, ma che si pone davanti a te, e ti risponde secondo realtà.
6
Il realismo degli universali: solo considerando l’umanità in se stessa si può concepire una salvezza portata
dall’unico Redentore, che, attraverso gli uomini che l’hanno conosciuto, possa attingere tutti gli uomini, di
ogni tempo e di ogni luogo, salvo chiaramente l’adesione esplicita o implicita di ciascuno.
5
Per combattere la giusta battaglia, bisogna identificare dei punti qualificanti, che possano contenere
implicita tutta un’ideologia, delle specie di connessioni simboliche, che siano sentite come vive, e siano al
tempo stesso imprescindibili da tutto un contenuto di valore (non l’espressione ormai trita “di valori”). Uno
di questi è la festa: la festa ha in sé significati culturali, significati teologici, significati sociali ben precisi: si
riferisce alla tradizione, alla nostra cultura, alla nostra religione. E poi la festa, cosa importantissima,
presuppone il popolo: il popolo è una formazione sufficientemente omogenea, che si riconosce appunto nei
simboli impliciti nella festa: la festa quindi corrobora il popolo, identifica l’appartenenza, ripropone il valore
in cui il popolo si riconosce. In primo luogo bisogna rivalutare la Domenica: la festa è un giorno
ontologicamente diverso dagli altri, in cui non si fanno le cose che si fanno negli altri giorni: è una rottura
dello scorrere del tempo, che deve portare novità, riflessione, preghiera, amicizia. Ancor più bisogna
affermare la diversità ontologica dei giorni delle feste importanti dell’anno: il Natale, la Pasqua, sono giorni
che rompono il corso dell’anno, che segnano punti importanti. Il tema della festa lo vedo fondamentale per
la nostra identità di popolo cristiano.
4
Se uno crede nella vita eterna, sa che la perfezione non è in questa vita, ma in quella, e che per forza di
cose le cose di questo mondo non possono essere perfette; quindi cerca di viverci nel modo migliore,
adattandosi alle sue imperfezioni; se invece uno crede che la vita sia solo questa, si darà da fare come un
matto perché questo mondo raggiunga la perfezione, e crederà anche che sia possibile; d’altra parte, per
lui, non esiste un altro luogo dove collocarla la perfezione. Cadrà così, facilmente, nel perfettismo politico.
3
Non si può nemmeno ridurre il Cristianesimo ad una sociologia, come si sta cercando di fare da una
cinquantina d'anni, almeno in Italia. E servirsi per questo scopo anche dell'enciclica Caritas in Veritate è una
forzatura ancor più grande. Il tema di fondo del Pontefice è che la Carità è "vera" solo se vive nella verità:
non si può dimenticare questo aspetto fondamentale e andare ad estrarre dal testo solo i riferimenti a casi
particolari della vita presente. E' quella dimenticanza dei temi di fondo del cristianesimo che serve per
poter dialogare "alla pari" con le ideologie. Ma le ideologie, lo dice anche il papa, non sono più le padrone
del pensiero, oggi. Hanno fatto il loro tempo. E un cristianesimo secolarizzato (privato cioè di tutti i
riferimenti al soprannaturale, che con le ideologie non sono omogenei e quindi non sono confrontabili)
come quello che da tante parti viene proposto, è un'ideologia, superata come le altre.
2
Il fatto è che il mondo secolarizzato di oggi è succube di un pensiero scientista-radicaloide, di un antiumanesimo
che non si può combattere con le armi della dottrina sociale: bisogna affrontarlo su un piano
più profondo: quella "rivalutazione dell'uomo" di cui papa Woityla si è fatto appassionato propugnatore.
E sulla stessa linea si trova il nostro papa attuale (BenedettoXVI), quando afferma che oggi il problema
sociale è il problema antropologico. E il problema antropologico non si cura sul piano sociale: bisogna fare
uno sforzo di pensiero, ritrovare veramente la nostra Tradizione (la vita della Chiesa si fonda paritariamente
sulla Parola, sulla Liturgia e sulla Tradizione), che si è confrontata col pensiero dell'uomo nel corso di due
millenni, che ci lascia un retaggio che stiamo colpevolmente trascurando.
1
Siamo a problemi epocali: dobbiamo affrontare la sfida scientista-evoluzionista alla legge naturale, la
negazione della creazione, della sostanza spirituale, e tutto quello che consegue in tema di famiglia, di
libertà, di diritto alla vita; avete visto quante volte il papa (Benedetto XVI nella caritas in veritate),che nei
confronti dell'evoluzionismo ha una concezione più severa di quella di Giovanni Paolo II, nel testo
dell'enciclica fa riferimento alla concezione dell'uomo come evento casuale ed irrilevante: e dice che se si
ha questa concezione non si va da nessuna parte, né nella verità, né nella carità: eppure questa è la
concezione "ufficiale" che prevale nel mondo scientifico, ma non solo: anche nell'ONU, nella Commissione
europea, in tutti i vari Zapateri che hanno posizioni di potere. Sappiamo che le forze del male non
praevalebunt, ma sarebbe provocare veramente Dio astenersi dal fare quello che è in nostra possibilità per
evitare il disastro. O forse crediamo anche noi che l'uomo è il tumore della Terra, come crede l'ideologia
ambientalista, ispirata anche questa dall'evoluzionismo? Se non siamo noi forti nel nostro patrimonio
culturale, possiamo essere travolti. Come possiamo essere travolti dall'ondata dell'immigrazione, noi,
cultura debole, religiosamente apatica, di fronte a milioni di islamici spietati e determinati.